venerdì 27 ottobre 2023

 

INTRODUZIONE

 

Quando entriamo in un negozio di alimentari, ci possiamo chiedere da dove arrivi il cibo esposto negli scaffali. Oggi è facile comprare pesce proveniente dall'Alaska o pescato nel Pacifico, frutta prodotta in Africa e Messico o carne argentina. Ma prima che bastimenti, camion e aerei collegassero tra loro le varie parti del mondo, le merci riuscivano comunque ad arrivare da un posto all’altro attraverso lunghi e difficili spostamenti all’interno di reti commerciali.

La rete commerciale più famosa della storia antica è stata la cosiddetta Via della seta, in realtà non un’unica via, bensì una serie di percorsi che collegavano venditori e acquirenti tra i Paesi dell'Europa e la Cina. Ma vi furono complessi sistemi di strade anche attraverso l’antico Impero Romano, il Deserto del Sahara e la regione tra gli Stati Uniti e il Messico. Infine anche attraverso le acque si creò la fitta rete commerciale dei popoli Polinesiani nel Pacifico.

 

4.1 RETE STRADALE DELL’IMPERO ROMANO

 

4.1.1 La viabilità più sviluppata del mondo antico

L’Impero Romano riuscì a mantenere il suo dominio per diversi secoli anche per la vasta ed efficiente rete stradale sviluppata a partire dall’epoca preimperiale. Le lunghe strade, quasi sempre dritte per minimizzare le distanze, tecnicamente ben costruite e organizzate per l’assistenza ai viaggiatori, consentirono, insieme ai numerosi ponti, di mettere in collegamento la capitale con le più lontane province dell'impero.

La rete stradale servì per i traffici commerciali, gli spostamenti rapidi degli eserciti e il contatto tra le diverse civiltà dell’antichità. Copriva tutti i territori dell’impero, non solo quindi l’Italia, l’Europa centro-occidentale e la Penisola Iberica, ma anche i Balcani, tutta la costa del Nord-Africa, la Turchia e il Medio Oriente, attraversando territori spesso impervi come passi montuosi e aree desertiche.

Vi erano numerosi punti di sosta con stallieri e veterinari a disposizione per i cavalli e un rapido servizio postale effettuato con piccoli carri a due ruote e locande private con funzione di ostello per i viaggiatori, dove poter mangiare e dormire.

 

4.1.2 Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente

Con la fine del potere di Roma sui territori dell’Impero, anche le vie di comunicazione subirono trasformazioni. Molte tra le principali strade rimasero attive e venne continuato l’uso dei tracciati antichi. In alcuni casi, con le variazioni del paesaggio, come la formazione di aree palustri sopraggiunte in seguito allo spopolamento, il tracciato divenne discontinuo. Vennero creati percorsi alternativi, ad esempio per collegare pianure e alture, e riadattati i ponti distrutti, dove era necessario, direttamente da chi aveva interesse nella zona, come i signori feudali. Nel caso di scomparsa di città romane, come avvenne spesso nel Sud Italia, le vie furono abbandonate.

Acquisirono molta importanza strade percorse soprattutto dai pellegrini che volevano recarsi nei luoghi sacri della cristianità come Roma, Santiago de Compostela in Spagna e fino in Terrasanta, passando per la Puglia. Vennero chiamate vie romee, di cui la più importante era la Via Francigena che collegava il nord della Francia con il Sud dell’Italia.

 

 

4.2 LA VIA DELLA SETA

 

4.2.1 Alla ricerca di un materiale prezioso

Il nome per indicare questo famoso insieme di strade, ampiamente utilizzate per più di 1500 anni, tra il 130 a.C. e il 1450, lo dobbiamo al geografo tedesco Ferdinand von Richthofen che così la denominò per la prima volta nel 1877, nell’introduzione al suo volume Diari dalla Cina.

I numerosi percorsi che costituivano la Via della seta attraversavano montagne, deserti, fiumi e mari per il trasporto di diverse merci, tra cui, naturalmente la seta, tessuto leggero e confortevole che nei secoli aveva rappresentato un ideale per l'abbigliamento, in particolare per gli europei. Ma il problema era che la seta era filata da insetti chiamati bachi, i quali si nutrivano unicamente di un particolare tipo di foglia di gelso cinese. La seta, quindi, poteva essere reperita soltanto in Cina.

Agli inizi, intorno al II e al III secolo a.C., la seta viaggiava dalla Cina, insieme ad altre merci di valore con una periodicità regolare ed aveva come destinazione finale soprattutto Roma.

 

4.2.2 Non solo seta

Contemporaneamente altre tipologie di merci cominciarono ad essere esportate in senso opposto verso l’Asia e, insieme a questi beni materiali, attraverso la Via della seta, cominciarono presto a muoversi sia in un senso che nell’altro, idee legate alla cultura religiosa (nel tempo anche Buddismo, Islam, Cristianesimo furono coinvolte), alla matematica e all’astronomia dando vita a meccanismi di scambio che furono determinanti per lo sviluppo delle civiltà interessate. Ma questo fu anche il percorso che diede la possibilità alla terribile peste nera di arrivare in Europa nella metà del 1300.

Nel VI secolo monaci provenienti dalla Cina si recarono a Costantinopoli, durante il dominio di Giustiniano e svelarono il segreto della produzione della seta. Nell'Impero romano d'Oriente si iniziò, quindi, a produrre seta in città come Costantinopoli e Beirut e a commerciarla.

La rete commerciale comprendeva vie marittime che si estendevano dalla Cina settentrionale verso sud, attraversavano la linea costiera del Sud-Est Asiatico, proseguendo verso India, Iran ed Egitto; vie fluviali che usufruivano dei percorsi dei fiumi Oxus e Iassarte e vie terrestri. Queste si estendevano per circa 8000 chilometri, passando per decine e decine di città, come la famosa Samarcanda. Alcuni tratti della Via della Seta si svilupparono a sud, in India, territorio molto ricco di spezie. Questo tipo di commercio fu molto fruttuoso poiché, a quel tempo, in Europa le spezie come il pepe, la cannella e la noce moscata, molto utili per condire il cibo e come farmaci, erano rarissime.

 

4.2.3 Una rete di strade fondamentale per gli scambi

Altri beni commerciali che venivano importati in Europa sulla Via della Seta includevano oro, giada (un tipo di pietra preziosa verde), tè, schiavi e avorio. Nella direzione opposta, dato che la Cina non aveva pecore e uva, arrivavano vino e lana europei, ma anche vetro, fichi e noci.

Poiché entrambe le parti del continente eurasiatico avevano prodotti specifici non reperibili altrove, la Via della Seta permise a molti commercianti di diventare ricchi. Una delle città che ha maggiormente beneficiato di questo commercio è stata Venezia. I veneziani erano riusciti ad avere il monopolio su alcune merci, rivendendoli in tal modo agli altri europei a qualunque prezzo desiderassero.

Dopo un periodo di declino queste strade ritornarono ad essere un’importante rete di connessione tra l’Europa e il continente asiatico. Ciò accadde quando l’Impero Mongolo si espanse attraverso tutta l’Asia interna, creando condizioni di relativa sicurezza dovute alla pace portata dal dominio degli eserciti mongoli e per questo chiamata pax mongolica.  La seta si produceva anche in Europa, ma in quel momento furono i viaggiatori a muoversi desiderosi di commerciare e di avere rapporti politici con l'Oriente. Quando il loro impero si dissolse, la Via della Seta perse tutta la sua importanza economica, storica e geografica e ricomparve il pericolo di taglieggiamenti, sequestri e schiavizzazione.

 

 

4.3 ROTTE COMMERCIALI TRANSAHARIANE

 

4.3.2 Una rete che connette Africa, Medio Oriente e Mediterraneo

Queste vie si erano già in parte sviluppate durante l’epoca imperiale romana grazie all’importazione di felini ed altri animali selvatici usati durante gli spettacoli circensi. Questi animali venivano presi in larga parte da riserve di caccia nel nord dell’Africa, ma anche da territori oltre il deserto, tramite mercanti nordafricani che erano in contatto con i re tribali sub-sahariani.

Grazie alla disponibilità e la tecnica di utilizzo dei dromedari (che molto probabilmente era arrivato dalla penisola arabica attraverso la Somalia), le popolazioni berbere, che vivevano nell’Africa nord-occidentale, intorno al V secolo, iniziarono ad attraversare il deserto del Sahara, verso sud. Dall'ottavo secolo in poi, le carovane commerciali annuali seguivano rotte descritte in seguito, con dovizia di particolari, dai viaggiatori arabi. 

Da alcuni disegni di mappe geografiche ritrovati su rocce del deserto, vi erano due probabili vie lungo l’ansa settentrionale del fiume Niger il quale portava, durante tutto l’anno, acqua dentro la steppa semiarida e rendeva possibile anche il trasporto fluviale sia a monte, verso il Mali, che a valle, verso la Nigeria. Nel deserto poi vi era una via che portava a nord-ovest, verso il Marocco ed un’altra che portava a nord-est, verso la Tunisia.

 

4.3.2 Le vie dell’oro

L'oro presente nel Sudan occidentale e centrale, era la principale merce su cui si basava il commercio transahariano. Il traffico di oro veniva stimolato dalla domanda e dalla fornitura di monete, oggetto che gradualmente si stava diffondendo.  Queste strade arrivarono alla loro massima ascesa dal VII all’XI secolo, periodo in cui il commercio transahariano collegava le economie mediterranee con quelle sub-sahariane che importavano, invece, sale.

Quando, nei secoli successivi i berberi si convertirono all’Islam, la domanda d’oro per gli stati del Nord Africa spinse l’attenzione su territori come Mali e Ghana. Quest’ultimo era sede di un antico impero nel cui territorio si trovavano le miniere di Bambuk e nella cui capitale Kumbi Saleh, il geografo Al-Bakri (Huelva, 1014 – Cordova, 1094) aveva visto berretti ricamati d'oro, selle dorate, scudi e spade cesellate d'oro e, addirittura collari di cani dello stesso materiale. Il Mali, invece, il cui impero subentrò a quello del Ghana dopo la sua decadenza nell’XI secolo, fece meno proseliti riguardo all’islamizzazione. Di conseguenza, anche il traffico dell’oro diminuì. Soltanto con il sovrano Mansa Musa, l’uomo più ricco del millennio,[1] ci fu la conversione ufficiale all’Islam: il memorabile viaggio del 1324-25 lo vide recarsi alla Mecca con migliaia di uomini, schiavi e tonnellate di oro, molte delle quali distribuite nelle diverse tappe dal Cairo a Medina. Fu proprio questo viaggio che diede notorietà all’Impero del Mali poiché, da allora, cominciò ad apparire sulle carte geografiche sia del mono arabo che di quello europeo.

Queste vie cominciarono a perdere importanza, seppur rimanendo un’alternativa, quando i Portoghesi iniziarono ad aprire nuove rotte attraverso l’Atlantico.

 

4.4 STRADE TURCHESI

 

4.4.1 Una pietra per uso estetico e rituale

Una rete commerciale meno conosciuta, ma ugualmente importante, che metteva in contatto vari popoli dall'America centrale a quello che oggi è il New Mexico è costituita dalle cosiddette Strade Turchesi. Il nome è riferito al fatto che questa pietra, il turchese, era molto apprezzata dai popoli mesoamericani (Toltechi ed Aztechi) per la sua bellezza ed il suo significato rituale. Ma c’era un problema: i maggiori giacimenti di turchese si trovavano molto più a nord, nelle terre abitate dal popolo degli Anasazi. La domanda di turchese era dunque forte e alcuni studi suggeriscono che relazioni commerciali complesse si svilupparono in quest'area già intorno al 700.

Gli Anasazi dedicarono energie significative al settore minerario del turchese poiché per loro era diventato proficuo, mentre in cambio le genti del Centro America è possibile che abbiano portato uccelli e piume esotiche, nonché beni agricoli.

Queste rotte commerciali diventarono sempre più importanti nel tempo tanto da sopravvivere anche a trasformazioni politiche e sociali. Le merci, naturalmente, non erano le uniche cose che viaggiavano lungo le Strade Turchesi, così come accadde per le altre grandi vie di comunicazione del mondo. Si hanno prove della diffusione del culto mesoamericano di Quetzalcoatl verso nord, così come di cerimonie, tradizioni e stili architettonici. Anche malattie come il vaiolo vennero diffuse tra le Americhe attraverso queste strade.

La rete commerciale delle Strade Turchesi iniziò il suo declino dopo l’avvento dei popoli europei.

 

 

 

4.5 VIE COMMERCIALI POLINESIANE

 

4.5.1 Navigando dall’Oceania all’America meridionale

Gli arcipelaghi dell’Oceania, così come le Americhe, fino alla fine del Medioevo non erano stati coinvolti all’interno delle reti commerciali intercontinentali che si erano prodotte tra Europa, Asia e Africa. L’area compresa nel grande triangolo tra le Hawaii a nord, la Nuova Zelanda a sud e l’Isola di Pasqua a est fu con molta probabilità l’ultima del pianeta, in ordine di tempo, ad essere occupata dagli esseri umani. Le comunità che qui si crearono, per la posizione geografica e per la specificità dell’ambiente, sperimentarono nuovi problemi e ricercarono soluzioni originali.

Le loro attività erano basate principalmente sulla pesca e sui commerci che poterono praticare grazie all’esperta conoscenza dell’oceano, conoscenza che nessun occidentale avrebbe mai potuto immaginare in assenza di tutti gli strumenti di navigazione diffusi in Europa. Nel Settecento l’esploratore britannico James Cook, per orientarsi in uno spazio così vasto e sconosciuto, si avvalse di un navigatore di Tahiti, chiamato Tupaia, il quale fu in grado di tracciargli una mappa precisa delle isole polinesiane nel raggio di 3200 km dalla propria terra, gliene individuò circa 130, da egli stesso conosciute, e di più della metà ne indicò il nome.

I polinesiani si dimostrarono navigatori molto abili ed audaci in grado di gestire, pur senza le tecnologie cinesi, arabe ed europee uno spazio così grande molto prima che spagnoli e inglesi vi giungessero con le loro navi. Il loro sapere esperienziale si basava su un’approfondita conoscenza del volo degli uccelli, dei venti, delle maree e delle stelle. Molte di queste informazioni venivano riportate sulle stick chart, mappe realizzate con legnetti e conchiglie.



[1] http://www.lastampa.it/2012/10/16/societa/ecco-la-lista-dei-piu-ricchi-della-storia-il-primo-e-un-maliano-gheddafi-ottavo-hygDrqlYgtqTSLiX0n5QeJ/pagina.html

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