mercoledì 17 aprile 2024

 

13.1 LE DONNE NELL’EUROPA CRISTIANA

 

13.1.1 Madri, mogli e monache

Durante l’Alto Medioevo la quotidianità sociale fu direttamente influenzata dalla religione cristiana. Il perno centrale su cui si basava la società era la famiglia. La donna, come madre e moglie, ma anche come figlia e sorella, rappresentava perciò l’elemento di maggiore importanza per lo svolgimento della vita famigliare.

La libertà, sia degli uomini che delle donne, era in gran parte molto limitata, ma le donne subivano in più la superiorità sociale degli uomini.

Con la diffusione del monachesimo anche alle donne fu concessa la possibilità di acquisire alfabetizzazione ed apprendimento, sfuggendo così all’obbligo del matrimonio e della famiglia. Un esempio di monastero femminile condotto da una badessa fu San Salvatore, in provincia di Brescia, fondato nell’VIII secolo dalla figlia di un re longobardo.

Alcune donne raggiunsero livelli di istruzione e cultura del tutto eguagliabili a quelli degli uomini. Un famoso caso è rappresentato dalla monaca tedesca Ildegarda di Bingen (1098-1179), personalità ricca e complessa, che si occupò di teologia, filosofia, cosmologia, musica e poesia.

 

13.1.2 Tipologie di lavoro femminile

La maggior parte delle donne assisteva il proprio marito nelle attività legate all’agricoltura e all’artigianato poiché erano di solito praticate nei pressi dell’abitazione. Altri impieghi, tutti svolti all’interno della propria casa, riguardavano la filatura, la tessitura e la produzione di birra.

All’interno della vita contadina, nonostante lo status femminile fosse ritenuto dalla cultura religiosa e popolare inferiore, il contributo che le donne davano con il proprio lavoro e la gestione della casa e della famiglia era essenziale per la sopravvivenza di tutti i membri.

Anche nei secoli del Basso Medioevo continuarono ad esserci molte differenze nelle condizioni di vita tra uomini e donne. Queste ultime non potevano partecipare alla vita politica della città e, nel caso di una testimonianza in tribunale, la loro parola valeva di meno di quella di un uomo.

La loro funzione rimase ancora legata essenzialmente all’ambito domestico e privato: cura dei figli, preparazione delle pietanze e dei prodotti, ancora filatura e tessitura, cura dell’orto e degli animali.

 

13.1.3 Alcuni cambiamenti nel Basso Medioevo

Tuttavia, proprio a partire il X-XI secolo, con le trasformazioni sopraggiunte a livello economico e sociale, alcune donne cominciarono a partecipare gradualmente alla vita cittadina in maniera diretta. Potevano svolgere attività in proprio nella vendita presso mercati, nella produzione artigianale – soprattutto nel settore tessile – o come balie e lavandaie. Partecipavano anche alla gestione di piccole imprese insieme a padri e mariti, ad esempio all’interno di alberghi, locande e botteghe.

In alcuni paesi come Francia, Germania e Svizzera, pur in condizioni molto più limitate, le donne potevano entrare a far parte delle corporazioni, decidendo in prima persona su questioni di acquisto e vendita, di scelta di materie prime e di organizzazione del lavoro e degli operai. Questa cosa non accadeva, però, in altri paesi come l’Italia.

Per quanto riguarda la cultura essa era riservata alle donne aristocratiche - come la duchessa mecenate e regina di Francia Eleonora d’Aquitania (1122-1204) - o relegata all’interno di monasteri.

 

13.2 VITA FAMIGLIARE NELLA CINA IMPERIALE

 

13.2.1 Il valore della famiglia nel Confucianesimo

Durante il Medioevo la religione aveva un’influenza fondamentale sulle famiglie. Così come il cristianesimo in Europa, il confucianesimo in Cina e nell’Asia orientale determinava le relazioni tra uomini e donne.

Per il filosofo Confucio (551 a.C.- 479 a. C.) la famiglia era il tassello principale su cui si costruiva la società. Bisognava venerare gli antenati ed avere figli maschi affinché ci fossero eredi. Lo stato e la società erano entrambi modellati sulla famiglia: il sovrano doveva trattare i suoi sudditi come un padre tratta i suoi figli, e viceversa. Nei rapporti tra le persone non c’era uguaglianza e parità di diritti poiché vigeva il predominio dell’età adulta sulla giovinezza e del maschio sulla femmina. In sintesi vi era una gerarchia imprescindibile nella quale prevaleva l’autorità del sovrano sul suddito, del marito sulla moglie, del padre sul figlio e del fratello sulla sorella.

 

13.2.2 Le famiglie possono essere “allargate”

Una famiglia poteva essere composta da diverse persone legate tra loro da vincoli di parentela. Facciamo un esempio: padre, madre, fratelli del padre e rispettive mogli, figli e figlie di diversa età e figli di un altro fratello morto e anche da una matrigna vedova. Le donne, come la vedova e le figlie non sposate, non avevano altra scelta che rimanere relegate all’interno di questo nucleo e sotto la potestà del capofamiglia o degli altri uomini. Il confucianesimo era a favore della famiglia allargata in cui potessero rientrare anche i parenti.

 

13.2.3 La cultura di una donna cinese

Ma non dobbiamo pensare che ruoli così rigidi all’interno della famiglia non facessero esistere anche una forte dimensione emotiva ed affettiva. Un esempio ci viene da fonti letterarie e, nello specifico, dai versi della poetessa Li Qingzhao (ca. 1084-1151) che, come altre donne della sua epoca, prese marito a 16 o 17 anni. Dopo la morte del marito Li Qingzhao scrisse un commovente ricordo del loro matrimonio come relazione non solo intima e sentimentale, ma anche culturale. Nella sua epoca era fondamentale il raggiungimento di uno status più alto grazie al superamento degli esami statali col quale si accedeva a funzioni pubbliche importanti, andando oltre l’appartenenza a famiglie ricche e aristocratiche.

 

13.2.4 Matrimonio e povertà

Dal XIII in poi divenne importante il valore della dote (ricchezze in denaro o proprietà possedute) che la sposa portava allo sposo, creando un equilibrio di investimenti tra le due famiglie poiché anche la sposa aveva un “valore materiale”.

Spesso la povertà delle famiglie portava all’infanticidio, soprattutto quando il neonato era una femmina. Nel XII secolo sono stati ritrovati documenti che attestano l’istituzione di orfanotrofi proprio per accogliere bambini abbandonati e non lasciarli morire o, come spesso accadeva, non permettere che venissero venduti come servi dagli stessi genitori per disperazione.

 

 

13.3 RUOLO DELLE DONNE NEL GIAPPONE MEDIEVALE

 

13.3.1 La donna prima del confucianesimo

Prima che il buddismo e il confucianesimo venissero introdotti in Giappone, dal VI secolo, la struttura sociale prevedeva che le donne, al pari degli uomini, potessero agire all’interno degli affari militari ed economici, nonché dei rituali religiosi. La religione nativa del Giappone, lo shintoismo, comprendeva l’importante divinità solare Amaterasu che era di sesso femminile e le sue sacerdotesse hanno continuano a svolgere un ruolo importante fino ad oggi. A questo si aggiunge che sei imperatrici giapponesi regnarono durante il VII secolo.

 

13.3.2 Cambiamenti con l’introduzione del confucianesimo

In seguito, col cosiddetto Periodo Nara (710-784, così chiamato dal nome della capitale) l’influenza culturale cinese fu molto significativa e proprio la diffusione del confucianesimo, basato sulla gerarchia uomo-donna, potrebbe aver impedito a figure femminili di prendere il potere. Da quel momento, le donne sono state infatti escluse dalla successione al trono. La loro posizione legale, però, rimaneva relativamente forte poiché esse potevano possedere ed ereditare proprietà sebbene dipendessero dai padri o dai mariti.

 

13.3.3 Il Perioro Heian

Nel successivo Periodo Heian (VIII-XII secolo) fiorì la letteratura giapponese anche grazie ad importanti scrittrici che erano dame di corte, come Murasaki Shikibu, autrice del romanzo La storia di Genji e come la poetessa Sei Shōnagon che scrisse I racconti del cuscino. Queste due opere, entrambe scritte agli inizi del XI secolo, rappresentano due dei più famosi capolavori letterari del Giappone e ci danno testimonianza della vita di corte degli imperatori Heian.

Le donne appartenenti alle classi sociali più basse si trovavano di fronte a un insieme di circostanze molto più difficili, dal momento che non avevano né ricchezza né posizione sociale che potesse aiutarle. Per loro, quando non riuscivano a creare una famiglia l'unica alternativa era entrare in un convento o diventare cortigiana.

Il buddismo dava la possibilità alle donne che rimanevano senza casa e famiglia di diventare monache mendicanti.

 

13.3.4 Durante lo shogunato

Cambiamenti più radicali ci furono nell’epoca degli shogun, a partire dal 1200, quando si decise che l’eredità poteva essere ricevuta solo dai figli maschi. L’importanza delle donne nella società giapponese rimaneva, legata più che altro alla loro figura di madri: solo grazie a loro, infatti, potevano venire al mondo gli eredi per i feudi, aspetto fondamentale per uno stato che aveva una struttura feudale ereditaria come il Giappone.

Alle donne era richiesta una fedeltà assoluta al proprio marito e, nel caso questi fosse stato un samurai, la donna avrebbe dovuto assisterlo durante il rituale del suicidio (seppuku) o addirittura unirsi con lui nella morte.

Alcune cose cambiarono con la crescita di un'economia più legata al commercio. Le donne non appartenenti all’élite poterono così diventare attive nei mercati alimentari come quello del pesce, del riso o del tofu (alimento simile al formaggio ma ricavato dalla soia). In alternativa potevano lavorare alla produzione del sakè, una bevanda alcolica ottenuta dal riso, o alla tintura dei tessuti.

 

13.4 LA CONDIZIONE DELLA DONNA PRESSO I MONGOLI

13.4.1 Il lavoro

Il primo europeo a visitare i Mongoli fu il missionario fiammingo Guglielmo di Rubruck che nel 1253 riuscì a raggiungere la loro capitale Karakorum. Dal suo resoconto abbiamo ricevuto molte informazioni riguardo alle abitudini e alle tradizioni di questo popolo, comprese quelle sulle donne.

Come gli uomini, anche le donne erano solite cavalcare legando una fascia di seta celeste sopra i fianchi e un’altra intorno ai seni. Sotto gli occhi legavano un fazzoletto lungo fino al petto. Il frate le descrive di aspetto robusto, non avvenenti e in grado, da sole, di condurre anche venti carri con buoi o cammelli negli spostamenti con le loro caratteristiche tende-abitazioni, chiamate yurte. Inoltre, avevano anche il compito di scaricare a terra le tende, mungere le mucche, preparare il burro e le pelli per gli abiti e la copertura delle case. Si occupavano, insieme agli uomini, anche dell’allevamento di capre e pecore.

 

13.4.2 Il matrimonio

Nella società mongola la moglie doveva necessariamente essere comprata, ecco perché alcune donne potevano aspettare anche molti anni per sposarsi. Il giorno dopo la cerimonia del matrimonio le ragazze si radevano la metà anteriore della testa, come rituale per contraddistinguere la loro nuova posizione sociale.

Un’altra usanza era quella che consentiva a due sorelle, una dopo l’altra, di poter essere prese in sposa dallo stesso uomo, mentre una vedova non poteva più risposarsi. I Mongoli, infatti, credevano che chi era stato proprietà di qualcuno in questa vita, lo sarebbe restato anche dopo la morte.

 

 

13.5 DONNE E QUOTIDIANITÀ FAMIGLIARE NEL MONDO ISLAMICO

 

13.5.1 I codici scritti e orali

Nei clan dell’Arabia pre-islamica le donne, anche se subordinate agli uomini, godevano di rispetto da parte di questi. La poligamia era diffusa per entrambi i sessi, ma i figli, di chiunque fossero, appartenevano al clan come comunità. Dalle tombe beduine si comprende che donne e uomini ricevevano lo stesso trattamento e gli stessi onori.

Nell’epoca di Maometto, dal Corano si ricavò un codice di leggi e comportamenti chiamato Sharia col quale si regolava – e si regola tuttora - la vita individuale e familiare all'interno della comunità dei credenti. Ogni musulmano che credesse in Allah non vi si poteva sottrarre. La considerazione delle donne venne da quel momento rivista e il periodo pre-islamico ritenuto un’epoca di ignoranza.

Alle leggi scritte si univa una tradizione orale dovuta ai maschi anziani. In entrambi questi codici si sottolineava la struttura patriarcale della famiglia e la “fratellanza” all’interno della comunità, così come era già accaduto per il cristianesimo.

 

13.5.2 Donne e matrimonio

Anche se il paradiso islamico dava una possibilità di accesso identico sia agli uomini che alle donne (lo stesso che per la vita ultraterrena dei cristiani e degli ebrei) e nonostante nelle città come La Mecca, Medina o Damasco, le donne avessero anche una discreta possibilità di esercitare il loro potere negli affari dei mariti, spesso gli ideali della legge islamica potevano essere modificati ed adattati a favore di una visione maschile e patriarcale.

Secondo il modello patriarcale del Corano esse erano sotto la tutela del padre fino al matrimonio, dopo di che passavano sotto quella del marito. Una donna adulta nubile, invece, poteva essere indipendente dalla tutela maschile. Non potevano possedere titoli religiosi, ma a volte gestivano il potere politico insieme ai mariti.

In diverse parti dell’impero come nell’Asia occidentale le donne musulmane potevano possedere una parte della proprietà dei genitori nel momento del matrimonio. Il matrimonio era concepito come contratto tra persone, con obblighi reciproci, se non uguali, tra i coniugi. Addirittura sia l’uomo che la donna avevano il diritto di porre fine a un matrimonio, sebbene i diritti delle donne fossero più limitati. Mentre il matrimonio per il cristianesimo era indissolubile, in quanto sacramento, il matrimonio islamico come contratto poteva essere sciolto se gli obblighi non fossero stati rispettati. Dall’XI al XIII secolo il divorzio si era molto diffuso e gran parte delle donne si sposava una seconda o terza volta. Divorziare e risposarsi non era comune solo tra le élite musulmane, ma anche tra le persone del popolo. 

Gli obblighi del matrimonio erano sia economici che sociali: si collegavano le risorse di due famiglie ed era il momento più importante per la vita di una persona. Si potevano sposare solo uomini musulmani, una restrizione che serviva anche ad impedire che ricchezze e proprietà finissero fuori dalla comunità musulmana. Nei clan di La Mecca si favorirono i matrimoni tra cugini per non far disperdere il patrimonio al di fuori della famiglia.

 

13.5.3 Donne e lavoro

Al di fuori del ruolo all’interno della propria famiglia, in alcune regioni islamiche le donne riuscivano a svolgere anche altre mansioni. Nel califfato di Spagna, ad esempio, le occupazioni femminili erano legate all’agricoltura, alla tessitura e alla gestione delle schiave, ma anche, in alcuni casi, alla guerra. Inoltre, diverse donne erano impiegate come infermiere e chirurghe nei bimaristan, ospedali diffusi nel mondo arabo-islamico.

 

13.5.4 La casa

Le abitazioni musulmane comprendevano spesso un cortile con alberi, piante e fontane, mentre le donne potevano risiedere solo nella parte della casa a loro destinata e chiamata harem. I musulmani più rigidi, come quelli che vivevano a Baghdad nel X secolo, ad esempio, ritenevano che le donne non dovessero mai essere viste nelle strade pubbliche o, nel caso ciò accadeva, che indossassero un velo per non lasciare trasparire la loro bellezza agli occhi di uomini non appartenenti alla famiglia. Questa tradizione è ancora molto diffusa in gran parte del mondo islamico moderno.

Le moschee come pure le chiese e le sinagoghe – svolgevano una funzione sociale molto importante sostituendo la famiglia dove questa mancava, come per le vedove o gli orfani.

 

13.5.5 Gli schiavi

Le prime società islamiche dell’Asia occidentale comprendevano anche un alto numero di schiavi, che però non erano mai musulmani e venivano prelevati dai prigionieri di guerra. Secondo la legge islamica, uno schiavo era una persona i cui diritti erano stati severamente limitati ma non totalmente persi. Ad esempio, molte schiave sono diventate concubine e i loro figli hanno potuto godere degli stessi diritti dei bambini nati in matrimoni normali. Questo perché la Sharia favoriva l’integrazione di persone all’interno del nucleo famigliare.

 

 

 

13.6 LA FAMIGLIA NELL’AFRICA SUB-SAHARIANA

 

13.6.1 Discendenza per via materna

La maggior parte delle fonti del periodo “medievale” dell’Africa sub-sahariana deriva da viaggiatori e mercanti islamici che intrattenevano relazioni con quei popoli lungo le Rotte transahariane, dall’Atlantico al Mar Rosso e dal Sahara al Mediterraneo. Molti di questi racconti confermano quelli dei griot, i cantastorie africani di tradizione orale.

Quando il famoso viaggiatore musulmano Ibn Battuta nel XIV secolo si ritrovò nei territori dell’Impero del Mali, poté osservare che le popolazioni autoctone seguivano una tradizione matrilineare, ovvero la discendenza e la proprietà erano trasmesse attraverso le madri. Questa cosa fu molto sorprendente per Ibn Battuta perché, a quel tempo, quelle popolazioni si erano già convertite all’Islam ed egli stesso, in quanto musulmano, era abituato ad una discendenza famigliare per via maschile o patrilineare.

Egli rimase inoltre sconvolto dall’abitudine alla nudità all’interno della comunità mentre musulmani, ebrei e cristiani credevano che Dio avesse richiesto agli uomini di coprire i loro corpi, usanza che nel Medioevo si era tradotta, per le donne, nel lasciare scoperto soltanto il viso e le mani.

 

13.6.2 Funzioni all’interno della comunità

Le donne si prendevano cura della prole e della casa, preparavano e cucinavano pasti con suppellettili che, in alcune società, erano esse stesse a fabbricare. Nelle comunità contadine si adoperavano per qualsiasi mansione da svolgere nei campi: estirpare erbacce, zappare e seminare, seguire il raccolto e immagazzinare i prodotti della terra. Si potevano trovare donne a preparare e vendere dolci e altri prodotti alimentari all’interno di mercati, ma in diverse zone era anche diffusa la schiavitù femminile. Ad esempio, durante gli spostamenti gli uomini erano seguiti da schiave che trasportavano arredi e merci. Un figlio avuto da una schiava poteva rimanere nella famiglia ed essere cresciuto dalla madre. Le donne schiave si adattavano alla vita famigliare più degli schiavi di sesso maschile.

Per una donna africana e per la comunità in cui viveva era molto importante il valore della fertilità. La preoccupazione verso le nuove nascite era molto grande poiché assicurava una forza lavoro numerosa e produttiva.

La famiglia era anche in Africa occidentale, parimenti alla cultura cristiana e a quella musulmana, il fondamento della società così come grande significato aveva la casa. Questa, presso alcuni popoli del Togo, veniva identificata col corpo umano e le sue parti corrispondevano alle parti anatomiche associate ad antenati della famiglia. La casa, in questo modo, era anche molto vicina alla funzione della tomba contribuendo a rafforzare la continuità tra presente e passato. Era, infatti, molto diffuso il culto degli antenati considerati non appartenenti al mondo dei morti, ma ancora presenti per molto tempo in quello dei vivi, come membri della famiglia ancora presenti.

 

13.6.3 I bambini

Ai bambini venivano concesse diverse attenzioni per la crescita e le diverse fasi dello sviluppo nelle quali era sempre tutta la comunità del villaggio ad educare. Inoltre, veniva loro accordato particolare rispetto perché si credeva che fossero la reincarnazione degli antenati, come se ci fosse sempre una continuità della vita tra morti e vivi, e viceversa.

I bambini riflettevano anche l'armonia spirituale, gli ideali della bellezza individuale e il benessere dell'ordine familiare.

 

13.6.4 La guerra rende più potenti gli uomini

Durante il XIV e il XV secolo, a causa della sempre crescente importanza che la guerra acquisiva per alcune società africane, donne e bambini persero posizione o potere a vantaggio degli uomini. Allo stesso modo il diffuso utilizzo di schiavi nel lavoro domestico fece diminuire prestigio e centralità al ruolo della donna.

 

 

13.7 COMUNITÀ FAMIGLIARI NEL NORD AMERICA

 

13.7.1 Mancanza di fonti

Per quanto riguarda il modo in cui vivevano le famiglie nell’America precolombiana, in questo caso nella parte settentrionale del continente, non abbiamo la stessa documentazione disponibile per le civiltà europee, orientali o arabe.

Alcune fonti ci fanno risalire a una serie di piccole comunità disseminate tra la costa nord-occidentale del Pacifico, la regione delle Grandi Pianure e i boschi orientali dove vivevano gli Irochesi.

Le informazioni aumentarono enormemente con l’arrivo degli europei. All'inizio del XVI secolo, Amerigo Vespucci fu tra i primi osservatori europei di popoli nativi delle Americhe. Nelle sue lettere il famoso esploratore fiorentino raccontò di come gruppi molto grandi di indigeni vivessero in case condivise. In alcuni casi, le abitazioni multifamiliari erano associate allo sviluppo dell'agricoltura, poiché la residenza condivisa incoraggiava il lavoro cooperativo richiesto dalla produzione alimentare intensiva. Tuttavia, questo modo di abitare era diffuso anche nelle regioni del nord-ovest, sul Pacifico, dove il sistema agricolo non era ancora sviluppato.

 

13.7.2 Irochesi e tribù delle Grandi Pianure

Già dopo il 1000 gli Irochesi avevano cominciato a sostituire le abitudini di caccia e raccolta con quelle legate alla coltivazione dei campi, creando i primi insediamenti semipermanenti. L’agricoltura produceva cibo in abbondanza e la popolazione cresceva, così più famiglie cominciarono ad unirsi e a condividere queste abitazioni (longhouse, case lunghe) oltre che il lavoro. La discendenza era probabilmente per linea materna o matrilineare e lo sviluppo dell’agricoltura rafforzò il ruolo e la funzione delle donne negli affari interni dandogli maggiore autorità rispetto agli uomini. Le donne a capo del clan decidevano quali uomini potevano prendere parte all’assemblea tribale. Dopo il matrimonio, un uomo andava a vivere nell’abitazione della moglie o della suocera e anche la longhouse era gestita e governata da una donna a sua volta assistita dalle altre donne del gruppo multifamiliare.

Lo stesso avveniva per le longhouse fatte con tronchi e tavole di cedro delle popolazioni del nord-ovest, zono molto ricca di risorse naturali. Anche gli indigeni delle Grandi Pianure vivevano in longhouse condivise e multifamiliari, anche se qui l’unione tra le famiglie era funzionale soprattutto alla caccia del bisonte.

 

13.7.3 Pueblo

I Pueblo, comunità del sud-ovest, vivevano in case contigue con tetti in pietra o, addirittura, case di mattoni. La società Pueblo era matrilineare e anche dal punto di vista delle proprietà si seguiva la linea della donna. Quando una donna si sposava, infatti, suo marito andava a vivere da lei dopo aver lasciato la casa di sua madre. Ma qui non era proprietario di nulla: non solo la casa, ma anche gli oggetti sacri e la ricchezza (principalmente sotto forma di grano immagazzinato), appartenevano alle donne che vivevano in quella casa. Mentre le donne rimanevano attaccate alle loro case natali per tutta la vita, gli uomini si muovevano man mano che crescevano. Durante l'infanzia il figlio maschio viveva con la madre; da giovane si trasferiva in una kiva, locale seminterrato utilizzato per funzioni religiose, dove apprendeva le tradizioni rituali maschili e solo alla fine di questo lungo percorso poteva sposarsi e stabilirsi nella casa di sua moglie.

 

 

 

verifica verbi