13.1
LE
DONNE NELL’EUROPA CRISTIANA
13.1.1 Madri, mogli e
monache
Durante l’Alto Medioevo
la quotidianità sociale fu direttamente influenzata dalla religione cristiana.
Il perno centrale su cui si basava la società era la famiglia. La donna, come
madre e moglie, ma anche come figlia e sorella, rappresentava perciò l’elemento
di maggiore importanza per lo svolgimento della vita famigliare.
La libertà, sia degli
uomini che delle donne, era in gran parte molto limitata, ma le donne subivano
in più la superiorità sociale degli uomini.
Con la diffusione del
monachesimo anche alle donne fu concessa la possibilità di acquisire
alfabetizzazione ed apprendimento, sfuggendo così all’obbligo del matrimonio e
della famiglia. Un esempio di monastero femminile condotto da una badessa fu
San Salvatore, in provincia di Brescia, fondato nell’VIII secolo dalla figlia
di un re longobardo.
Alcune donne raggiunsero
livelli di istruzione e cultura del tutto eguagliabili a quelli degli uomini.
Un famoso caso è rappresentato dalla monaca tedesca Ildegarda di Bingen
(1098-1179), personalità ricca e complessa, che si occupò di teologia, filosofia,
cosmologia, musica e poesia.
13.1.2 Tipologie di
lavoro femminile
La maggior parte delle
donne assisteva il proprio marito nelle attività legate all’agricoltura e
all’artigianato poiché erano di solito praticate nei pressi dell’abitazione.
Altri impieghi, tutti svolti all’interno della propria casa, riguardavano la
filatura, la tessitura e la produzione di birra.
All’interno della vita
contadina, nonostante lo status femminile fosse ritenuto dalla cultura
religiosa e popolare inferiore, il contributo che le donne davano con il
proprio lavoro e la gestione della casa e della famiglia era essenziale per la
sopravvivenza di tutti i membri.
Anche nei secoli del
Basso Medioevo continuarono ad esserci molte differenze nelle condizioni di
vita tra uomini e donne. Queste ultime non potevano partecipare alla vita
politica della città e, nel caso di una testimonianza in tribunale, la loro
parola valeva di meno di quella di un uomo.
La loro funzione rimase
ancora legata essenzialmente all’ambito domestico e privato: cura dei figli,
preparazione delle pietanze e dei prodotti, ancora filatura e tessitura, cura
dell’orto e degli animali.
13.1.3 Alcuni cambiamenti
nel Basso Medioevo
Tuttavia, proprio a
partire il X-XI secolo, con le trasformazioni sopraggiunte a livello economico
e sociale, alcune donne cominciarono a partecipare gradualmente alla vita
cittadina in maniera diretta. Potevano svolgere attività in proprio nella
vendita presso mercati, nella produzione artigianale – soprattutto nel settore
tessile – o come balie e lavandaie. Partecipavano anche alla gestione di
piccole imprese insieme a padri e mariti, ad esempio all’interno di alberghi,
locande e botteghe.
In alcuni paesi come
Francia, Germania e Svizzera, pur in condizioni molto più limitate, le donne
potevano entrare a far parte delle corporazioni, decidendo in prima persona su
questioni di acquisto e vendita, di scelta di materie prime e di organizzazione
del lavoro e degli operai. Questa cosa non accadeva, però, in altri paesi come
l’Italia.
Per quanto riguarda la
cultura essa era riservata alle donne aristocratiche - come la duchessa
mecenate e regina di Francia Eleonora d’Aquitania (1122-1204) - o relegata
all’interno di monasteri.
13.2
VITA
FAMIGLIARE NELLA CINA IMPERIALE
13.2.1 Il valore della
famiglia nel Confucianesimo
Durante il Medioevo la
religione aveva un’influenza fondamentale sulle famiglie. Così come il
cristianesimo in Europa, il confucianesimo in Cina e nell’Asia orientale
determinava le relazioni tra uomini e donne.
Per il filosofo Confucio
(551 a.C.- 479 a. C.) la famiglia era il tassello principale su cui si
costruiva la società. Bisognava venerare gli antenati ed avere figli maschi
affinché ci fossero eredi. Lo stato e la società erano entrambi modellati sulla
famiglia: il sovrano doveva trattare i suoi sudditi come un padre tratta i suoi
figli, e viceversa. Nei rapporti tra le persone non c’era uguaglianza e parità
di diritti poiché vigeva il predominio dell’età adulta sulla giovinezza e del
maschio sulla femmina. In sintesi vi era una gerarchia imprescindibile nella
quale prevaleva l’autorità del sovrano sul suddito, del marito sulla moglie,
del padre sul figlio e del fratello sulla sorella.
13.2.2 Le famiglie
possono essere “allargate”
Una famiglia poteva
essere composta da diverse persone legate tra loro da vincoli di parentela.
Facciamo un esempio: padre, madre, fratelli del padre e rispettive mogli, figli
e figlie di diversa età e figli di un altro fratello morto e anche da una matrigna
vedova. Le donne, come la vedova e le figlie non sposate, non avevano altra
scelta che rimanere relegate all’interno di questo nucleo e sotto la potestà
del capofamiglia o degli altri uomini. Il confucianesimo era a favore della
famiglia allargata in cui potessero rientrare anche i parenti.
13.2.3 La cultura di una
donna cinese
Ma non dobbiamo pensare
che ruoli così rigidi all’interno della famiglia non facessero esistere anche
una forte dimensione emotiva ed affettiva. Un esempio ci viene da fonti
letterarie e, nello specifico, dai versi della poetessa Li Qingzhao (ca.
1084-1151) che, come altre donne della sua epoca, prese marito a 16 o 17 anni.
Dopo la morte del marito Li Qingzhao scrisse un commovente ricordo del loro
matrimonio come relazione non solo intima e sentimentale, ma anche culturale.
Nella sua epoca era fondamentale il raggiungimento di uno status più alto
grazie al superamento degli esami statali
col quale si accedeva a funzioni pubbliche importanti, andando oltre
l’appartenenza a famiglie ricche e aristocratiche.
13.2.4 Matrimonio e
povertà
Dal XIII in poi divenne
importante il valore della dote (ricchezze in denaro o proprietà possedute) che
la sposa portava allo sposo, creando un equilibrio di investimenti tra le due
famiglie poiché anche la sposa aveva un “valore materiale”.
Spesso la povertà delle
famiglie portava all’infanticidio, soprattutto quando il neonato era una
femmina. Nel XII secolo sono stati ritrovati documenti che attestano
l’istituzione di orfanotrofi proprio per accogliere bambini abbandonati e non
lasciarli morire o, come spesso accadeva, non permettere che venissero venduti
come servi dagli stessi genitori per disperazione.
13.3
RUOLO
DELLE DONNE NEL GIAPPONE MEDIEVALE
13.3.1 La donna prima del
confucianesimo
Prima che il buddismo e
il confucianesimo venissero introdotti in Giappone, dal VI secolo, la struttura
sociale prevedeva che le donne, al pari degli uomini, potessero agire
all’interno degli affari militari ed economici, nonché dei rituali religiosi.
La religione nativa del Giappone, lo shintoismo, comprendeva l’importante
divinità solare Amaterasu che era di sesso femminile e le sue sacerdotesse
hanno continuano a svolgere un ruolo importante fino ad oggi. A questo si
aggiunge che sei imperatrici giapponesi regnarono durante il VII secolo.
13.3.2 Cambiamenti con
l’introduzione del confucianesimo
In seguito, col
cosiddetto Periodo Nara (710-784, così chiamato dal nome della capitale)
l’influenza culturale cinese fu molto significativa e proprio la diffusione del
confucianesimo, basato sulla gerarchia uomo-donna, potrebbe aver impedito a
figure femminili di prendere il potere. Da quel momento, le donne sono state
infatti escluse dalla successione al trono. La loro posizione legale, però,
rimaneva relativamente forte poiché esse potevano possedere ed ereditare
proprietà sebbene dipendessero dai padri o dai mariti.
13.3.3 Il Perioro Heian
Nel successivo Periodo
Heian (VIII-XII secolo) fiorì la letteratura giapponese anche grazie ad
importanti scrittrici che erano dame di corte, come Murasaki Shikibu, autrice
del romanzo La storia di Genji e come
la poetessa Sei Shōnagon che
scrisse I racconti del cuscino.
Queste due opere, entrambe scritte agli inizi del XI secolo, rappresentano due
dei più famosi capolavori letterari del Giappone e ci danno testimonianza della
vita di corte degli imperatori Heian.
Le donne appartenenti
alle classi sociali più basse si trovavano di fronte a un insieme di
circostanze molto più difficili, dal momento che non avevano né ricchezza né
posizione sociale che potesse aiutarle. Per loro, quando non riuscivano a
creare una famiglia l'unica alternativa era entrare in un convento o diventare
cortigiana.
Il buddismo dava la
possibilità alle donne che rimanevano senza casa e famiglia di diventare
monache mendicanti.
13.3.4 Durante lo
shogunato
Cambiamenti più radicali
ci furono nell’epoca degli shogun, a partire dal 1200, quando si decise che
l’eredità poteva essere ricevuta solo dai figli maschi. L’importanza delle
donne nella società giapponese rimaneva, legata più che altro alla loro figura
di madri: solo grazie a loro, infatti, potevano venire al mondo gli eredi per i
feudi, aspetto fondamentale per uno stato che aveva una struttura feudale
ereditaria come il Giappone.
Alle donne era richiesta
una fedeltà assoluta al proprio marito e, nel caso questi fosse stato un
samurai, la donna avrebbe dovuto assisterlo durante il rituale del suicidio (seppuku) o addirittura unirsi con lui
nella morte.
Alcune cose cambiarono
con la crescita di un'economia più legata al commercio. Le donne non
appartenenti all’élite poterono così diventare attive nei mercati alimentari
come quello del pesce, del riso o del tofu (alimento simile al formaggio ma
ricavato dalla soia). In alternativa potevano lavorare alla produzione del
sakè, una bevanda alcolica ottenuta dal riso, o alla tintura dei tessuti.
13.4
LA
CONDIZIONE DELLA DONNA PRESSO I MONGOLI
13.4.1 Il lavoro
Il primo europeo a
visitare i Mongoli fu il missionario fiammingo Guglielmo di Rubruck che nel
1253 riuscì a raggiungere la loro capitale Karakorum. Dal suo resoconto abbiamo
ricevuto molte informazioni riguardo alle abitudini e alle tradizioni di questo
popolo, comprese quelle sulle donne.
Come gli uomini, anche le
donne erano solite cavalcare legando una fascia di seta celeste sopra i fianchi
e un’altra intorno ai seni. Sotto gli occhi legavano un fazzoletto lungo fino
al petto. Il frate le descrive di aspetto robusto, non avvenenti e in grado, da
sole, di condurre anche venti carri con buoi o cammelli negli spostamenti con
le loro caratteristiche tende-abitazioni, chiamate yurte. Inoltre, avevano anche il compito di scaricare a terra le
tende, mungere le mucche, preparare il burro e le pelli per gli abiti e la
copertura delle case. Si occupavano, insieme agli uomini, anche
dell’allevamento di capre e pecore.
13.4.2 Il matrimonio
Nella società mongola la
moglie doveva necessariamente essere comprata, ecco perché alcune donne
potevano aspettare anche molti anni per sposarsi. Il giorno dopo la cerimonia
del matrimonio le ragazze si radevano la metà anteriore della testa, come rituale
per contraddistinguere la loro nuova posizione sociale.
Un’altra usanza era
quella che consentiva a due sorelle, una dopo l’altra, di poter essere prese in
sposa dallo stesso uomo, mentre una vedova non poteva più risposarsi. I
Mongoli, infatti, credevano che chi era stato proprietà di qualcuno in questa
vita, lo sarebbe restato anche dopo la morte.
13.5 DONNE E
QUOTIDIANITÀ FAMIGLIARE NEL MONDO ISLAMICO
13.5.1 I codici scritti e
orali
Nei clan dell’Arabia
pre-islamica le donne, anche se subordinate agli uomini, godevano di rispetto
da parte di questi. La poligamia era diffusa per entrambi i sessi, ma i figli,
di chiunque fossero, appartenevano al clan come comunità. Dalle tombe beduine
si comprende che donne e uomini ricevevano lo stesso trattamento e gli stessi
onori.
Nell’epoca di Maometto,
dal Corano si ricavò un codice di leggi e comportamenti chiamato Sharia col
quale si regolava – e si regola tuttora - la vita individuale e familiare
all'interno della comunità dei credenti. Ogni musulmano che credesse in Allah
non vi si poteva sottrarre. La considerazione delle donne venne da quel momento
rivista e il periodo pre-islamico ritenuto un’epoca di ignoranza.
Alle leggi scritte si
univa una tradizione orale dovuta ai maschi anziani. In entrambi questi codici
si sottolineava la struttura patriarcale della famiglia e la “fratellanza”
all’interno della comunità, così come era già accaduto per il cristianesimo.
13.5.2 Donne e matrimonio
Anche se il paradiso
islamico dava una possibilità di accesso identico sia agli uomini che alle
donne (lo stesso che per la vita ultraterrena dei cristiani e degli ebrei) e
nonostante nelle città come La Mecca, Medina o Damasco, le donne avessero anche
una discreta possibilità di esercitare il loro potere negli affari dei mariti,
spesso gli ideali della legge islamica potevano essere modificati ed adattati a
favore di una visione maschile e patriarcale.
Secondo il modello
patriarcale del Corano esse erano sotto la tutela del padre fino al matrimonio,
dopo di che passavano sotto quella del marito. Una donna adulta nubile, invece,
poteva essere indipendente dalla tutela maschile. Non potevano possedere titoli
religiosi, ma a volte gestivano il potere politico insieme ai mariti.
In diverse parti
dell’impero come nell’Asia occidentale le donne musulmane potevano possedere
una parte della proprietà dei genitori nel momento del matrimonio. Il
matrimonio era concepito come contratto tra persone, con obblighi reciproci, se
non uguali, tra i coniugi. Addirittura sia l’uomo che la donna avevano il
diritto di porre fine a un matrimonio, sebbene i diritti delle donne fossero
più limitati. Mentre il matrimonio per il cristianesimo era indissolubile, in
quanto sacramento, il matrimonio islamico come contratto poteva essere sciolto
se gli obblighi non fossero stati rispettati. Dall’XI al XIII secolo il
divorzio si era molto diffuso e gran parte delle donne si sposava una seconda o
terza volta. Divorziare e risposarsi non era comune solo tra le élite
musulmane, ma anche tra le persone del popolo.
Gli obblighi del
matrimonio erano sia economici che sociali: si collegavano le risorse di due
famiglie ed era il momento più importante per la vita di una persona. Si
potevano sposare solo uomini musulmani, una restrizione che serviva anche ad
impedire che ricchezze e proprietà finissero fuori dalla comunità musulmana.
Nei clan di La Mecca si favorirono i matrimoni tra cugini per non far
disperdere il patrimonio al di fuori della famiglia.
13.5.3 Donne e lavoro
Al di fuori del ruolo
all’interno della propria famiglia, in alcune regioni islamiche le donne
riuscivano a svolgere anche altre mansioni. Nel califfato di Spagna, ad
esempio, le occupazioni femminili erano legate all’agricoltura, alla tessitura
e alla gestione delle schiave, ma anche, in alcuni casi, alla guerra. Inoltre,
diverse donne erano impiegate come infermiere e chirurghe nei bimaristan, ospedali diffusi nel mondo
arabo-islamico.
13.5.4 La casa
Le abitazioni musulmane
comprendevano spesso un cortile con alberi, piante e fontane, mentre le donne
potevano risiedere solo nella parte della casa a loro destinata e chiamata
harem. I musulmani più rigidi, come quelli che vivevano a Baghdad nel X secolo,
ad esempio, ritenevano che le donne non dovessero mai essere viste nelle strade
pubbliche o, nel caso ciò accadeva, che indossassero un velo per non lasciare
trasparire la loro bellezza agli occhi di uomini non appartenenti alla
famiglia. Questa tradizione è ancora molto diffusa in gran parte del mondo
islamico moderno.
Le moschee come pure le
chiese e le sinagoghe – svolgevano una funzione sociale molto importante
sostituendo la famiglia dove questa mancava, come per le vedove o gli orfani.
13.5.5 Gli schiavi
Le prime società
islamiche dell’Asia occidentale comprendevano anche un alto numero di schiavi,
che però non erano mai musulmani e venivano prelevati dai prigionieri di
guerra. Secondo la legge islamica, uno schiavo era una persona i cui diritti
erano stati severamente limitati ma non totalmente persi. Ad esempio, molte
schiave sono diventate concubine e i loro figli hanno potuto godere degli
stessi diritti dei bambini nati in matrimoni normali. Questo perché la Sharia
favoriva l’integrazione di persone all’interno del nucleo famigliare.
13.6
LA
FAMIGLIA NELL’AFRICA SUB-SAHARIANA
13.6.1 Discendenza per
via materna
La maggior parte delle
fonti del periodo “medievale” dell’Africa sub-sahariana deriva da viaggiatori e
mercanti islamici che intrattenevano relazioni con quei popoli lungo le Rotte
transahariane, dall’Atlantico al Mar Rosso e dal Sahara al Mediterraneo. Molti
di questi racconti confermano quelli dei griot, i cantastorie africani di
tradizione orale.
Quando il famoso
viaggiatore musulmano Ibn Battuta nel XIV secolo si ritrovò nei territori
dell’Impero del Mali, poté osservare che le popolazioni autoctone seguivano una
tradizione matrilineare, ovvero la discendenza e la proprietà erano trasmesse
attraverso le madri. Questa cosa fu molto sorprendente per Ibn Battuta perché,
a quel tempo, quelle popolazioni si erano già convertite all’Islam ed egli
stesso, in quanto musulmano, era abituato ad una discendenza famigliare per via
maschile o patrilineare.
Egli rimase inoltre
sconvolto dall’abitudine alla nudità all’interno della comunità mentre
musulmani, ebrei e cristiani credevano che Dio avesse richiesto agli uomini di
coprire i loro corpi, usanza che nel Medioevo si era tradotta, per le donne,
nel lasciare scoperto soltanto il viso e le mani.
13.6.2 Funzioni
all’interno della comunità
Le donne si prendevano
cura della prole e della casa, preparavano e cucinavano pasti con suppellettili
che, in alcune società, erano esse stesse a fabbricare. Nelle comunità
contadine si adoperavano per qualsiasi mansione da svolgere nei campi:
estirpare erbacce, zappare e seminare, seguire il raccolto e immagazzinare i
prodotti della terra. Si potevano trovare donne a preparare e vendere dolci e
altri prodotti alimentari all’interno di mercati, ma in diverse zone era anche
diffusa la schiavitù femminile. Ad esempio, durante gli spostamenti gli uomini
erano seguiti da schiave che trasportavano arredi e merci. Un figlio avuto da
una schiava poteva rimanere nella famiglia ed essere cresciuto dalla madre. Le
donne schiave si adattavano alla vita famigliare più degli schiavi di sesso
maschile.
Per una donna africana e
per la comunità in cui viveva era molto importante il valore della fertilità.
La preoccupazione verso le nuove nascite era molto grande poiché assicurava una
forza lavoro numerosa e produttiva.
La famiglia era anche in
Africa occidentale, parimenti alla cultura cristiana e a quella musulmana, il
fondamento della società così come grande significato aveva la casa. Questa,
presso alcuni popoli del Togo, veniva identificata col corpo umano e le sue
parti corrispondevano alle parti anatomiche associate ad antenati della
famiglia. La casa, in questo modo, era anche molto vicina alla funzione della
tomba contribuendo a rafforzare la continuità tra presente e passato. Era,
infatti, molto diffuso il culto degli antenati considerati non appartenenti al
mondo dei morti, ma ancora presenti per molto tempo in quello dei vivi, come
membri della famiglia ancora presenti.
13.6.3 I bambini
Ai bambini venivano
concesse diverse attenzioni per la crescita e le diverse fasi dello sviluppo
nelle quali era sempre tutta la comunità del villaggio ad educare. Inoltre,
veniva loro accordato particolare rispetto perché si credeva che fossero la
reincarnazione degli antenati, come se ci fosse sempre una continuità della
vita tra morti e vivi, e viceversa.
I bambini riflettevano
anche l'armonia spirituale, gli ideali della bellezza individuale e il
benessere dell'ordine familiare.
13.6.4 La guerra rende
più potenti gli uomini
Durante il XIV e il XV
secolo, a causa della sempre crescente importanza che la guerra acquisiva per
alcune società africane, donne e bambini persero posizione o potere a vantaggio
degli uomini. Allo stesso modo il diffuso utilizzo di schiavi nel lavoro domestico
fece diminuire prestigio e centralità al ruolo della donna.
13.7
COMUNITÀ
FAMIGLIARI NEL NORD AMERICA
13.7.1 Mancanza di fonti
Per quanto riguarda il
modo in cui vivevano le famiglie nell’America precolombiana, in questo caso
nella parte settentrionale del continente, non abbiamo la stessa documentazione
disponibile per le civiltà europee, orientali o arabe.
Alcune fonti ci fanno
risalire a una serie di piccole comunità disseminate tra la costa
nord-occidentale del Pacifico, la regione delle Grandi Pianure e i boschi
orientali dove vivevano gli Irochesi.
Le informazioni
aumentarono enormemente con l’arrivo degli europei. All'inizio del XVI secolo,
Amerigo Vespucci fu tra i primi osservatori europei di popoli nativi delle
Americhe. Nelle sue lettere il famoso esploratore fiorentino raccontò di come
gruppi molto grandi di indigeni vivessero in case condivise. In alcuni casi, le
abitazioni multifamiliari erano associate allo sviluppo dell'agricoltura,
poiché la residenza condivisa incoraggiava il lavoro cooperativo richiesto
dalla produzione alimentare intensiva. Tuttavia, questo modo di abitare era
diffuso anche nelle regioni del nord-ovest, sul Pacifico, dove il sistema
agricolo non era ancora sviluppato.
13.7.2 Irochesi e tribù
delle Grandi Pianure
Già dopo il 1000 gli
Irochesi avevano cominciato a sostituire le abitudini di caccia e raccolta con
quelle legate alla coltivazione dei campi, creando i primi insediamenti
semipermanenti. L’agricoltura produceva cibo in abbondanza e la popolazione
cresceva, così più famiglie cominciarono ad unirsi e a condividere queste
abitazioni (longhouse, case lunghe)
oltre che il lavoro. La discendenza era probabilmente per linea materna o
matrilineare e lo sviluppo dell’agricoltura rafforzò il ruolo e la funzione
delle donne negli affari interni dandogli maggiore autorità rispetto agli
uomini. Le donne a capo del clan decidevano quali uomini potevano prendere
parte all’assemblea tribale. Dopo il matrimonio, un uomo andava a vivere
nell’abitazione della moglie o della suocera e anche la longhouse era gestita e governata da una donna a sua volta
assistita dalle altre donne del gruppo multifamiliare.
Lo stesso avveniva per le
longhouse fatte con tronchi e tavole
di cedro delle popolazioni del nord-ovest, zono molto ricca di risorse
naturali. Anche gli indigeni delle Grandi Pianure vivevano in longhouse condivise e multifamiliari,
anche se qui l’unione tra le famiglie era funzionale soprattutto alla caccia
del bisonte.
13.7.3 Pueblo
I Pueblo, comunità del
sud-ovest, vivevano in case contigue con tetti in pietra o, addirittura, case
di mattoni. La società Pueblo era matrilineare e anche dal punto di vista delle
proprietà si seguiva la linea della donna. Quando una donna si sposava,
infatti, suo marito andava a vivere da lei dopo aver lasciato la casa di sua
madre. Ma qui non era proprietario di nulla: non solo la casa, ma anche gli
oggetti sacri e la ricchezza (principalmente sotto forma di grano
immagazzinato), appartenevano alle donne che vivevano in quella casa. Mentre le
donne rimanevano attaccate alle loro case natali per tutta la vita, gli uomini
si muovevano man mano che crescevano. Durante l'infanzia il figlio maschio
viveva con la madre; da giovane si trasferiva in una kiva, locale seminterrato utilizzato per funzioni religiose, dove
apprendeva le tradizioni rituali maschili e solo alla fine di questo lungo
percorso poteva sposarsi e stabilirsi nella casa di sua moglie.
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