LA SECONDA GUERRA MONDIALE
ITALIA
Il Fascismo aveva prodotto e diffuso uno
stereotipo di donna come “moglie e madre”,
completamente dedita alla riproduzione e
all’amministrazione della casa in cui gestire
una famiglia numerosa e dedicarsi con
massima cura al marito, unico lavoratore
riconosciuto nel modello di propaganda
fascista.
Quando scoppiò la Seconda
guerra mondiale, molte donne continuarono
a restare fedeli a tale stereotipo e rimasero a badare ai propri cari in attesa che gli uomini tornassero dal fronte. Col tempo, però, gli eventi portarono a trasformazioni che inevitabilmente investirono l’ordine sociale in essere e, quindi, anche il ruolo delle donne.
In quegli anni, in campagna, le donne continuarono a lavorare per l’autosostentamento delle proprie famiglie piantando e raccogliendo cereali, specialmente riso (come le mondine della Val Padana), occupandosi della casa, crescendo i propri figli e prendendosi cura
degli anziani. Nei centri urbani, invece,
così com’era accaduto durante il Primo
conflitto mondiale, molte
di loro vennero reclutate come
operaie nelle fabbriche per
poter sostituire gli uomini
chiamati a combattere. Vennero
loro assegnati ruoli nelle industrie
tessili, in quelle alimentari e in quelle chimiche per la lavorazione di minerali, carta e pelli.
La guerra fu anche un’importante occasione per permettere alle donne italiane di poter svolgere mansioni anche nel settore terziario dell’economia e riscattarsi per questo socialmente in un contesto culturale che prediligeva di gran lunga la presenza degli uomini in certe situazioni lavorative. Molte di esse furono medici e infermiere, ostetriche, balie e maestre elementari, mentre erano escluse dall’insegnamento superiore.
GERMANIA
Durante gli anni del Nazismo in Germania,
le donne furono sottoposte a un controllo
sociale e politico rigoroso che limitò
significativamente le loro libertà.
Ispirandosi al Fascismo italiano,
l’ideologia nazista promuoveva
un’immagine tradizionale della donna,
relegandola principalmente al ruolo di
madre e casalinga. Il regime di Hitler
cercava di rafforzare la famiglia
tradizionale tedesca e incoraggiava
perciò le donne a dedicarsi alla loro
“missione” di generare figli ariani per
sostenere la causa razzista che era alla base del Nazismo. La loro immagine doveva rifarsi a un ideale di corpo robusto fisicamente sano e in grado di assolvere ai propri doveri sociali secondo lo slogan, già in uso nella Germania imperiale, delle tre K: Kinder, Küche, Kirche (bambini, cucina e chiesa).
La discriminazione di genere divenne parte integrante della politica tedesca (con l’esclusione da posizioni di potere, oltre che da settori professionali come esercito e magistratura), ma molte donne ebbero comunque un ruolo attivo nel Partito Nazista, per esempio come infermiere o cuoche. Nonostante l’indottrinamento cui erano sottoposte, alcune donne si opposero con forza al potere di Hitler, pagando con la propria vita, come nel caso di Libertas Schulze-Boysen e Sophie Scholl.
Con lo scoppio della Seconda Guerra
Mondiale nel 1939, le donne tedesche
furono coinvolte in modo diretto e
indiretto nel conflitto. Molte di esse
furono mobilitate per sostenere
l’industria bellica tedesca, lavorando
nelle fabbriche in sostituzione degli
uomini arruolati nell’esercito. Questo
cambio di ruolo le portò a una
maggiore indipendenza economica,
ma il controllo del regime sulle loro
vite rimase forte. All’interno delle SS il
lavoro femminile fu limitato al volontariato e al servizio di emergenza, mentre come guardie, segretarie e infermiere molte donne furono impiegate nei campi di concentramento.
GIAPPONE
Prima della guerra, in Giappone le donne
potevano trovare occupazione in due tipi
di lavoro. Il primo le vedeva come operaie
svolgere turni massacranti nell’industria
tessile: si trattava soprattutto di donne
che non si sposavano o che avevano
esigenza di lavorare poiché
provenienti da famiglie indigenti.
La rigida visione patriarcale, infatti,
non considerava che dopo il
matrimonio una donna avesse ancora bisogno di lavorare. L’altra
occupazione, pur non prevedendo retribuzione, era scelta dalla maggior parte delle donne giapponesi e le vedeva impegnate nei campi e nella gestione delle fattorie di famiglia. Si trattava di lavori di dura fatica che rientravano nel modo di considerare le donne in Giappone come lavoratrici, obbedienti e sottomesse al marito, per il sostentamento della famiglia.
Queste convenzioni culturali, quando scoppiò la guerra nel Pacifico, impedirono al governo di usufruire delle donne come forze militari e solo dopo qualche anno, quando la carenza di operai uomini nelle fabbriche si fece sentire in maniera problematica, le donne furono chiamate a
sostituirli. La maggior parte di
esse erano volontarie e nel
1944 si potevano contare più
di quattro milioni di donne al
di sopra dei 15 anni impiegate
come operaie in importanti
settori industriali producendo
munizioni, farmaci, tessuti e
meccanica per aerei. In quella difficile situazione anche le donne sposate furono fortemente incoraggiate a lavorare.
Anche se in proporzione il numero di donne giapponesi impiegate nell’industria non è paragonabile a quello, ad esempio, di quelle americane, bisogna ricordare che il loro contributo per la storia del proprio Paese fu fondamentale, specialmente se pensiamo alle condizioni in cui lavoravano (rumore, turni spossanti, contatto con sostanze tossiche), al cibo scarso e ai salari molto più bassi rispetto a quelli degli uomini.
CINA
La Cina fu invasa dal Giappone nel 1937 e
l’occupazione durò fino al 1945. Le donne
cinesi si trovarono coinvolte in diversi sforzi
e azioni per aiutare il loro Paese a resistere
ai soprusi degli invasori. Nelle aree gestite
dai comunisti cinesi, in particolare nel nord
della Cina, le truppe giapponesi usarono
metodi di particolarmente brutali per
reprimere e controllare le popolazioni civili.
Il più noto dei numerosi attacchi contro
donne civili cinesi avvenne nella città di Nanchino alla fine di dicembre 1937, quando decine di migliaia di donne furono barbaramente violentate e uccise.
Il Partito Comunista Cinese cercò di mobilitare attivamente reclutando soprattutto contadine nelle aree rurali delle province interne della Cina. Gruppi di volontarie si unirono all'esercito e combatterono sul fronte, spesso in unità miste con gli uomini, con grande coraggio e abilità contro le forze giapponesi.
Le donne cinesi svolsero un importante ruolo anche nel lavoro civile, nelle fabbriche, nelle miniere e nelle industrie in cui si producevano munizioni e altri beni per l'esercito. Diverse altre mansioni le videro occupate come infermiere e medici nella cura di feriti e malati in ospedali di emergenza e centri di assistenza medica. L’impegno delle donne si produsse inoltre nell’attività di spionaggio e di sabotaggio, raccogliendo informazioni sui movimenti delle truppe giapponesi e sabotando le loro operazioni militari.
In generale esse dimostrarono una grande determinazione e un forte senso di patriottismo durante la Seconda guerra mondiale, affrontando enormi difficoltà e pagando con la vita per la difesa del proprio Paese e per il riscatto del proprio popolo dopo la lunga e dolorosa occupazione giapponese. Decine di migliaia di donne cinesi – insieme ad altrettante donne di paesi occupati dal Giappone, come Corea, Vietnam e Thailandia – furono usate dall’esercito giapponese come “donne di conforto”, costrette cioè a prostituirsi contro la propria volontà per diversi anni, vedendo riconosciuto questo profondo oltraggio soltanto molto tempo dopo. Allo stesso modo, le loro imprese sono state spesso trascurate o ignorate nella storia ufficiale, sia in Cina che altrove, e solo di recente sono stati fatti sforzi per riconoscerne il valore.
INDIA
A partire dall’aprile del 1942 sui quotidiani
indiani venne ufficializzata la partecipazione
diretta delle donne alla guerra, quindi non
più soltanto come aiuto medico e
infermieristico. Mentre inizialmente
le attività svolte dalle donne, nel
contesto bellico, consistevano nel
sostituire gli uomini in mansioni
d’ufficio, da quel momento ci fu
la possibilità di arruolarsi nell’esercito
come ausiliarie. In un secondo momento
queste possibilità si allargarono anche alla marina militare e all’aeronautica militare. Considerando il complesso quadro etnico dell’India, è importante ricordare che parteciparono al conflitto donne anglo-indiane, indiane non cristiane ed europee. Per tutte si rendeva obbligatoria la conoscenza della lingua inglese.
Alla fine della guerra, si venne
a contare un numero di 11.500
donne indiane arruolate come
ausiliarie. Per la maggior
parte di esse questa occasione
rappresentò una maniera
concreta per uscire da
condizioni di enorme disparità
sociale rispetto agli uomini, a
causa della forte impronta patriarcale della società nell’India di quel tempo. Fino a quel momento, infatti, non era pensabile per le donne occupare spazi che erano stati esclusivamente definiti per gli uomini e per questo che, nel particolare contesto indiano, esse si posero come protagoniste della rottura di certe barriere millenarie e, nello stesso tempo, come eroine che ebbero il coraggio di lasciare il proprio spazio domestico per partecipare, con grande coraggio, all’immane sforzo bellico.
Un altro fondamentale contributo fu quello di coloro che, dietro le linee, si offrirono come operaie metalmeccaniche e nella produzione di armi, ma anche come dattilografe, centraliniste, autiste e addette al rifornimento alimentare.
STATI UNITI
Prima della Seconda guerra mondiale
negli Stati Uniti troviamo soprattutto
donne casalinghe, segretarie o commesse.
Con l’entrata in guerra e la conseguente
partenza per il fronte di un elevato numero
di uomini, il governo si adoperò in un processo
di propaganda (manifesti, riviste, annunci radio)
per invogliare le donne a occupare i posti di lavoro
lasciati vuoti dagli uomini. Una delle icone più note
create a tale proposito fu quella di Rosie the Riveter,
una figura di operaia affascinante e sicura di sé che invitava madri, mogli
e ragazze a seguirla al motto "We Can Do It!"
(possiamo farlo). Altre donne fornirono il proprio
apporto cimentandosi in lavori che
richiedevano sforzo e prestanza fisica come
muratore, taglialegna, tassista o camionista.
Nonostante fosse motivo di orgoglio prestare
servizio per la propria nazione in un periodo
così difficile, quasi per tutte loro le condizioni di
lavoro erano pesantissime e i salari molto bassi, cui si aggiungeva spesso il disprezzo da parte degli uomini che non le ritenevano all’altezza.
Altri impieghi in questi anni videro circa 350.000 donne rivestire ruoli anche in ambito militare, specialmente in compiti di ufficio, come traduttrici per decriptare messaggi all’interno dei conflitti navali e come infermiere la cui vita era costantemente minacciata dal fuoco aereo.
Lo svolgimento di tali mansioni consentì alle donne americane di acquisire maggiore indipendenza e autosufficienza e, malgrado la maggior parte di esse sia tornata al ruolo che occupava precedentemente al periodo della guerra, negli Stati Uniti si cominciò a guardare alla parità di genere con occhio diverso.
Questi tipi di lavoro per le donne era temporanei, e lo dovevano lasciare subito dopo la fine della guerra. Questa occasione ha permesso alle donne di lottare per gli stessi diritti degli uomini, sul posto di lavoro e oltre.
UNIONE SOVIETICA
Le donne hanno svolto un ruolo significativo
nella Seconda guerra mondiale in Unione Sovietica,
sia come soldati direttamente nelle azioni militari
che come lavoratrici civili. Durante questi
anni il 30% della forza lavoro del Paese era
occupato da donne sovietiche, impiegate
come operaie nelle fabbriche di munizioni
e attrezzature meccaniche per l’esercito,
autiste, piloti, infermiere, partigiane e, in
alcuni casi, come combattenti attive sul
fronte.
La partecipazione femminile all’interno del contesto della guerra aveva avuto inizio a partire dall'invasione tedesca nel 1941. Molte donne si unirono all'esercito come volontarie, formando unità di fanteria, cavalleria e artiglieria.
A causa delle numerose e pressanti richieste di donne disposte ad arruolarsi, Stalin costituì tre reggimenti aeronautici femminili. In particolare, il 588º Reggimento bombardamento notturno le cui aviatrici furono soprannominate dai nemici tedeschi Streghe della notte per il terrore seminato nelle proprie linee, si distinse come uno dei reparti di combattimento più temibili e noti dell'Armata Rossa.
Le donne sovietiche furono anche impegnate nell'aiuto ai soldati
feriti e malati come infermiere e paramedici.
Nel complesso, il loro apporto, dimostrato da notevole determinazione, coraggio e resistenza, soprattutto nelle circostanze estremamente difficili e pericolose del conflitto, fu indispensabile affinché l'Unione Sovietica uscisse vincitrice dalla Seconda guerra mondiale. Questo imprescindibile contributo è stato ampiamente riconosciuto dal governo sovietico e dalla società, e molte donne sono state decorate con onorificenze per il loro servizio militare e civile.
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