CINA E GIAPPONE
Fondando
colonie e città, le potenze europee riuscirono a mettere le mani su numerosi
territori al di là dell’Oceano Atlantico, ma anche a creare avamposti
commerciali in Asia e Africa. In questi continenti, tuttavia resistettero
ancora per secoli grossi sistemi politici, saldamente sviluppati anche come
economie. Tra questi l’Impero Cinese e quello Giapponese fino alla fine
dell’Ottocento decisero di rimanere legati alle proprie tradizioni, chiusi alle
influenze occidentali e per questo non entrarono nel gioco dei conflitti e
della conquista di nuove terre. Mentre una nuova potenza si affermava proprio
in questo periodo tra Europa e Asia, la Russia, connettendosi ad entrambi i
mondi culturali, i nuovi imperi islamici (Ottomani, Safàvidi e Moghul) rimpiazzavano
gli antichi Bizantini, Arabi e Mongoli, riuscendo a consolidare la tradizione e
la cultura musulmana dal Mediterraneo fino all’Oceano Indiano.
Infine,
alcuni regni africani come Songhai, Ife, Benin e Congo continuarono a basare la
propria forza sul commercio dell’oro e degli schiavi, quest’ultimo soprattutto
con l’Europa che ne aveva bisogno nelle Americhe.
6.1 LE DINASTIE
MING E QING IN CINA
6.1.1 I Ming creano uno stato potente e
controllato
Prima
dei Ming la Cina fu governata da una dinastia di origine mongola, gli Yuan.
Marco Polo, nel suo viaggio in Cina, fu ospite presso la corte di Qubilai Khan,
un imperatore Yuan, nipote di Gengis Khan. Nel 1368, però, quando ormai il
vastissimo impero mongolo si era diviso, i Cinesi ripresero il potere sulle
loro terre ed ebbe inizio la Dinastia Ming. Il potere fu concentrato a Pechino
dove, agli inizi del 1400, venne costruita l’imponente Città Proibita,
residenza dell’imperatore e della sua enorme corte.
In
questo periodo il confucianesimo continuò ad essere alla base del sistema
sociale cinese. Gli insegnamenti più profondi su figli e nipoti erano quelli
del rispetto e dell’obbedienza verso gli anziani e verso i superiori, così come
delle mogli verso i mariti. Il governo educava il popolo a credere nella patria
e a non creare disarmonie; era anche vietato per i sudditi allontanarsi dalla
propria casa per più di 12 km. In questo modo l’autorità del governo e il
controllo sul popolo si rafforzavano.
6.1.2
La baojia, un sistema per controllare
le comunità nei villaggi
Considerato
che l’impero era molto esteso e praticamente impossibile da vigilare in modo
diretto, controlli molto severi erano imposti anche dal sistema della baojia, ossia le unioni di vicinato. Con
questo sistema le famiglie che vivevano vicine venivano divise in gruppi di 10
o 100 con un anziano nominato come capo. In questi gruppi vigeva l’importante
principio della responsabilità reciproca, ognuno cioè doveva essere responsabile
della salute degli altri. In tal modo si controllavano i comportamenti e si
facevano riscuotere le tasse.
Altre
leggi per il controllo sociale furono emanate contro il lusso per il popolo.
Queste proibizioni servivano a rinforzare le differenze sociali, mantenendo ben
divisi i classici «quattro ceti»: eruditi, contadini, artigiani e mercanti. I
Ming sapevano bene che se si fosse rotta la gerarchia sociale sarebbe stato in
pericolo lo Stato stesso.
6.1.3
Sviluppi commerciali e culturali
I
Ming, però, riuscirono anche a sviluppare uno stato efficiente e progredito dal
punto di vista economico e culturale, da molti ritenuto il più potente a
livello mondiale se messo in confronto con gli altri regni e imperi dell’epoca.
Ciò fu possibile attraverso
· costruzione
di opere pubbliche come dighe, canali e ponti
· estensione
dell’uso della stampa e conseguente aumento dell’alfabetizzazione
· crescita
della produzione alimentare (al riso si aggiunsero prodotti importati dalle
Americhe come piselli, patate, mais)
· coltivazioni
commerciali, come il cotone, lungo il delta del Fiume Azzurro
· produzione
di porcellana pregiata esportata in gran parte del globo
Vennero
inoltre compiute numerose e costose esplorazioni con quella che era considerata
la flotta più grande del mondo. Centinaia di giunche – imponenti navi con vele
munite di stecche orizzontali per adattarsi a ogni tipo di vento e la parte
immersa dello scafo piatta – furono capitanate dall’ammiraglio imperiale Zheng
He per esplorare ogni parte dell’Oceano Indiano, fino alle coste dell’Arabia e
dell’Africa orientale. Non ci furono nuove scoperte, né Zheng He scelse di
esplorare l’ignoto dirigendosi a est, verso il Pacifico. Terminate queste
esplorazioni la Cina scelse di chiudersi agli occidentali, cercando di
preservare in questo modo la propria cultura. Solo il porto portoghese di Macao
rimase libero. Qui, nel 1582, arrivò dall’Italia il gesuita matematico e
geografo Matteo Ricci che riuscì infine a lavorare alla corte dell’imperatore e
a diventare il suo cartografo personale.
6.1.4 I Qing, gli ultimi imperatori di
Cina
A
causa di una durissima carestia, una serie di rivolte contadine sconvolsero la
Cina durante il XVII secolo. Furono saccheggiati depositi alimentari e
trucidati molti ricchi proprietari terrieri. Le rivolte avevano l’obiettivo di
redistribuire le terre con criteri più giusti. La Dinastia Ming ne uscì
fortemente provata fino al punto di tracollare sotto l’offensiva delle truppe
nomadi provenienti dalla Manciuria. Salì così al potere una nuova dinastia
chiamata Qing o Manciù, per la sua provenienza. I Qing saranno l’ultima
dinastia imperiale a governare sulla Cina, fino al 1912 quando nacque la
Repubblica cinese.
Pechino
fu conquistata nel 1644 e i Ming furono scacciati. La residenza imperiale
rimase sempre nella Città Proibita, mentre l’estensione dell’Impero Celeste
raggiunse il suo massimo proprio con i Qing nel 1790 (15 milioni di kmq, il
quinto impero più vasto della storia). Sotto questo impero furono unificati
molti popoli e regioni, ma i Qing divisero sempre questa massa di persone in
Manciù, Cinesi e Mongoli. Le diverse etnie non potevano contrarre matrimonio
tra loro e, in alcune città, come Pechino, erano addirittura divise da mura in
specifici quartieri.
6.1.5
Una dinastia che punta sulle risorse interne
Dal
punto di vista economico, come sotto la Dinastia Ming, venne proseguito
l’intento di sfruttare le risorse naturali interne e i vasti terreni agricoli,
senza quindi scendere in competizione con l’Europa. Le importazioni dall’estero
erano quasi completamente precluse, ma l’impatto commerciale era comunque molto
forte, grazie a mercanti e artigiani che si muovevano per lavoro attraverso
l’esteso impero. In agricoltura aumentarono le esportazioni di tè, cotone e
porcellana, mentre per ridurre il malcontento nelle campagne i Qing iniziarono
l’abbattimento del sistema di servitù dei contadini.
A
livello culturale si diffuse ulteriormente la stampa, le pubblicazioni
aumentarono come mai prima di allora e anche le classi sociali più basse
iniziarono a leggere libri. L’imperatore Kangxi (1661-1722) fece compilare il
più grande dizionario della lingua cinese, che prese il suo nome. Suo nipote,
l’imperatore Qianlong creò mecenatismo, benessere e prosperità, oltre a una
corte fastosa che aveva molti punti in comune con quella francese di Luigi XIV.
6.1.6
Il declino dei Qing: la Guerra dell’oppio e la Rivolta del Taiping
Il
potente Impero Qing iniziò a entrare in crisi dalla seconda metà del Settecento.
Uno dei principali segnali del suo disfacimento è da rintracciare nell’utilizzo
smodato di oppio – seppur vietato – da milioni di sudditi, tanto da creare
negli anni una vera piaga sociale. I maggiori quantitativi della potente droga provenivano
dalla colonia inglese del Bengala, dove la produzione era in mano alla
Compagnia delle indie Orientali. Quando nel 1839 il governo Qing fece bruciare
un enorme quantitativo di oppio proibendo ogni commercio con la Gran Bretagna,
ne scaturì una guerra che gli inglesi, per la superiorità militare e navale,
vinsero in poco tempo. La Cina fu costretta ad aprire porti al commercio
internazionale e a cedere l’isola di Hong Kong all’Impero Britannico.
In
seguito alle ingerenze occidentali la Dinastia Qing appariva fortemente
indebolita, ma un evento ancora più vasto e con conseguenze molto pesanti
giunse nello stesso periodo, quando violente ribellioni contadine contro il
governo. I ribelli Taiping presero il nome dal Regno Celeste della Grande Pace
(Taiping tianguo in cinese) poiché
pensavano di cacciare i Qing, che erano manciù, e gli stranieri europei per
riportare la Cina al suo antico splendore. La lunga e devastante guerra civile
che ne seguì (1850 – 1864), prima che la rivolta venisse completamente
soppressa dalle forze imperiali con il decisivo aiuto degli Inglesi, causò la
distruzione di raccolti e intere città e costò la vita a quasi 20 milioni di
persone.
6.2 IL GIAPPONE DEL PERIODO EDO
6.2.1 Un paese ancora feudale
Il periodo Edo comprende gli anni
1603-1868. Gli shogun
Tokugawa, dopo aver sconfitto i clan rivali, acquisirono il potere
assoluto. Il Giappone rimase, perciò, ancora saldamente un paese feudale
in
mano a samurai e shogun come nel periodo medievale,
mentre l’imperatore con la sua corte risiedeva senza poteri a Kyoto.
Lo shogun spostò il centro politico
e amministrativo a Edo (antico nome dell’odierna Tokyo), a quei tempi ancora un
piccolo villaggio di pescatori. Gli shogun Tokugawa cercarono di mantenere a
tutti i costi la stabilità politica e per questo costringevano i daimyo, i
signori feudali, a risiedere a Edo. Qui i daimyo trasferivano anche le proprie
corti e, non essendoci guerre interne, nel giro di un secolo Edo arrivò quasi a
un milione di abitanti.
6.2.2 La struttura sociale
La società era divisa in rigide
classi ed i matrimoni misti erano vietati dalla legge. La piramide sociale era
strutturata nel seguente modo:
Imperatore
Corte (nobili)
Shogun
Daimyo
Samurai
Contadini
Artigiani
Mercanti
Al di sotto
di tutti vi erano, infine, le cosiddette «persone impure», ovvero chi svolgeva
lavori a contatto con i cadaveri o le carogne (macellai, conciatori e becchini)
e i «non uomini» (erano così considerati i ladri, i mendicanti e le
prostitute). Per queste persone venivano costruiti specifici quartieri, isolati
dal resto della città e spesso non riportati nemmeno sulle mappe.
Le leggi
stabilivano per ogni classe sociale
precise norme che regolavano vari aspetti della vita pubblica e privata,
dal comportamento all’abbigliamento, dai beni consentiti fino alle attività di
svago e alle opportunità di poter avere un’istruzione.
6.2.3 I
samurai
In questi
secoli i samurai continuarono a seguire il bunbu, ideale in cui cultura (bun)
e arti marziali (bu) sono doveri uguali. Questi guerrieri avevano, secondo la dottrina confuciana, il compito
affidato dal Cielo di garantire un governo benevolo attraverso l’esempio
personale. La loro responsabilità era politica, ma anche morale. Questo si
univa al rispetto delle relazioni confuciane (gerarchia signore > suddito e padre
> figlio) allo scopo di garantire l’armonia sociale e la stabilità
politica. Il confucianesimo importato dalla Cina professava gli ideali di pietà
e amore verso i genitori, di lealtà e obbedienza verso i superiori e di
subordinazione dei propri bisogni a quelli della comunità di appartenenza. Il
samurai era, quindi, un individuo al servizio degli altri, il più possibile
staccato da bisogni materiali o di denaro. Ad esempio, il samurai che non era in
grado di saper distinguere le monete l’una dall’altra era considerato un
modello di grande virtù, proprio perché dimostrava con la sua ignoranza il
distacco dal valore materiale degli oggetti.
6.2.4 Lo sviluppo di una nuova società
Nonostante l’impostazione feudale e la rigida divisione in classi sociali,
la società governata dal regime degli shogun
Tokugawa, organizzata principalmente attorno all’attività agricola, si
sviluppò anche a livello mercantile.
Questo accade principalmente soltanto all’interno dell’impero. Gli unici
stranieri ammessi e con i quali si intrattenevano scambi commerciali erano i
cinesi e gli olandesi, costretti a vivere unicamente nella città portuale di
Nagasaki.
6.2.5 La vita nelle città
Questa chiusura all’esterno venne ufficializzata nel 1641 con
l’introduzione del sakoku. Fu una legge basata su un
estremo protezionismo che non permetteva ai giapponesi di avere contatto con
esterni, sul modello cinese. Una chiusura di carattere culturale che causò
anche la morte di molti missionari cattolici che arrivarono in Giappone per
diffondere la fede cristiana.
L’impossibilità di avere rapporti con l’esterno, però, permise al Periodo
Edo di essere un tempo di pace e relativa ricchezza, in cui si svilupparono le
città - specialmente Tokyo –, l’arte e la cultura, nacquero e si diffusero il sumo, una forma di lotta corpo a corpo tra
due sfidanti, il sushi
(per come è inteso oggi) e il teatro kabuki, una forma di teatro con
caratteristiche molto diverse da quelle occidentali, con una trama molto
incerta e l’assenza quasi totale di testo verbale.
A Kyoto vivevano circa trecentomila persone, mentre Edo si trasformò in una metropoli estesa, vivace e popolosa dove
la metà delle persone viveva nella «città bassa», zona dei rioni commerciali. Edo fu centro politico e amministrativo del
Giappone di questo periodo, ma anche nucleo economico e culturale, con
reti di strade e canali navigabili per il transito di grandi quantità di merci,
persone e informazioni.
6.3.6 Il “mondo fluttuante”
Questa fervida esistenza all’interno delle città, favorita dal forte
impulso dei commerci e della borghesia che con essi si stava arricchendo,
rappresentava il cosiddetto “mondo fluttuante”. Con queste parole si indica il
“nuovo” mondo che si stava creando grazie ad un periodo di pace e alla cultura
mercantile, e che si poteva vivere soprattutto di sera e di notte nei quartieri
centrali di Osaka, Kyoto e Edo. Molte di queste scene quotidiane sono
testimoniate dalle numerose, tipiche stampe artistiche dell’epoca, prodotte con
matrici di legno e con colori nitidi e uniformi. Proprio perché stampate in
gran numero, queste opere non avevano costi elevati e per questo si diffusero
ampiamente nelle case di molti giapponesi.
6.3.7 Istruzione e cultura
Nacquero numerose scuole private, spesso annesse ai templi locali, che
impartivano l’educazione ai figli dei
contadini, a mercanti e artigiani. La crescita del tasso di
alfabetizzazione (che verso la fine del Periodo Edo pare interessasse quasi la
metà della popolazione maschile) è testimoniata dall’ampia circolazione di libri
di botanica nelle zone rurali e di racconti, favole, cronache di viaggio e
vicende amorose destinate a un pubblico di lettori cittadini sempre più ampio.
In conclusione in questi secoli
risiede quel fermento intellettuale che interessò la
società giapponese a diversi livelli, dalla sfera politica, sociale e
filosofica fino al campo scientifico, letterario e artistico. Nonostante il
rigido sistema feudale e la morale confuciana dei Tokugawa, il Periodo Edo
costituì la base su cui si fonderanno i cambiamenti economici e culturali che
il Giappone compirà dopo la ‘riapertura’, con la fine del sakoku, a metà XIX secolo, e con il Periodo Meiji (1868-1912) che
porterà alla modernizzazione industriale.
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