martedì 9 gennaio 2024

CINA E GIAPPONE

Fondando colonie e città, le potenze europee riuscirono a mettere le mani su numerosi territori al di là dell’Oceano Atlantico, ma anche a creare avamposti commerciali in Asia e Africa. In questi continenti, tuttavia resistettero ancora per secoli grossi sistemi politici, saldamente sviluppati anche come economie. Tra questi l’Impero Cinese e quello Giapponese fino alla fine dell’Ottocento decisero di rimanere legati alle proprie tradizioni, chiusi alle influenze occidentali e per questo non entrarono nel gioco dei conflitti e della conquista di nuove terre. Mentre una nuova potenza si affermava proprio in questo periodo tra Europa e Asia, la Russia, connettendosi ad entrambi i mondi culturali, i nuovi imperi islamici (Ottomani, Safàvidi e Moghul) rimpiazzavano gli antichi Bizantini, Arabi e Mongoli, riuscendo a consolidare la tradizione e la cultura musulmana dal Mediterraneo fino all’Oceano Indiano.

Infine, alcuni regni africani come Songhai, Ife, Benin e Congo continuarono a basare la propria forza sul commercio dell’oro e degli schiavi, quest’ultimo soprattutto con l’Europa che ne aveva bisogno nelle Americhe.

 

6.1 LE DINASTIE MING E QING IN CINA

 

6.1.1 I Ming creano uno stato potente e controllato

Prima dei Ming la Cina fu governata da una dinastia di origine mongola, gli Yuan. Marco Polo, nel suo viaggio in Cina, fu ospite presso la corte di Qubilai Khan, un imperatore Yuan, nipote di Gengis Khan. Nel 1368, però, quando ormai il vastissimo impero mongolo si era diviso, i Cinesi ripresero il potere sulle loro terre ed ebbe inizio la Dinastia Ming. Il potere fu concentrato a Pechino dove, agli inizi del 1400, venne costruita l’imponente Città Proibita, residenza dell’imperatore e della sua enorme corte.

In questo periodo il confucianesimo continuò ad essere alla base del sistema sociale cinese. Gli insegnamenti più profondi su figli e nipoti erano quelli del rispetto e dell’obbedienza verso gli anziani e verso i superiori, così come delle mogli verso i mariti. Il governo educava il popolo a credere nella patria e a non creare disarmonie; era anche vietato per i sudditi allontanarsi dalla propria casa per più di 12 km. In questo modo l’autorità del governo e il controllo sul popolo si rafforzavano.

 

6.1.2 La baojia, un sistema per controllare le comunità nei villaggi

Considerato che l’impero era molto esteso e praticamente impossibile da vigilare in modo diretto, controlli molto severi erano imposti anche dal sistema della baojia, ossia le unioni di vicinato. Con questo sistema le famiglie che vivevano vicine venivano divise in gruppi di 10 o 100 con un anziano nominato come capo. In questi gruppi vigeva l’importante principio della responsabilità reciproca, ognuno cioè doveva essere responsabile della salute degli altri. In tal modo si controllavano i comportamenti e si facevano riscuotere le tasse.

Altre leggi per il controllo sociale furono emanate contro il lusso per il popolo. Queste proibizioni servivano a rinforzare le differenze sociali, mantenendo ben divisi i classici «quattro ceti»: eruditi, contadini, artigiani e mercanti. I Ming sapevano bene che se si fosse rotta la gerarchia sociale sarebbe stato in pericolo lo Stato stesso.

 

6.1.3 Sviluppi commerciali e culturali

I Ming, però, riuscirono anche a sviluppare uno stato efficiente e progredito dal punto di vista economico e culturale, da molti ritenuto il più potente a livello mondiale se messo in confronto con gli altri regni e imperi dell’epoca. Ciò fu possibile attraverso

·       costruzione di opere pubbliche come dighe, canali e ponti

·       estensione dell’uso della stampa e conseguente aumento dell’alfabetizzazione

·       crescita della produzione alimentare (al riso si aggiunsero prodotti importati dalle Americhe come piselli, patate, mais)

·       coltivazioni commerciali, come il cotone, lungo il delta del Fiume Azzurro

·       produzione di porcellana pregiata esportata in gran parte del globo

Vennero inoltre compiute numerose e costose esplorazioni con quella che era considerata la flotta più grande del mondo. Centinaia di giunche – imponenti navi con vele munite di stecche orizzontali per adattarsi a ogni tipo di vento e la parte immersa dello scafo piatta – furono capitanate dall’ammiraglio imperiale Zheng He per esplorare ogni parte dell’Oceano Indiano, fino alle coste dell’Arabia e dell’Africa orientale. Non ci furono nuove scoperte, né Zheng He scelse di esplorare l’ignoto dirigendosi a est, verso il Pacifico. Terminate queste esplorazioni la Cina scelse di chiudersi agli occidentali, cercando di preservare in questo modo la propria cultura. Solo il porto portoghese di Macao rimase libero. Qui, nel 1582, arrivò dall’Italia il gesuita matematico e geografo Matteo Ricci che riuscì infine a lavorare alla corte dell’imperatore e a diventare il suo cartografo personale.

 

 

6.1.4 I Qing, gli ultimi imperatori di Cina

A causa di una durissima carestia, una serie di rivolte contadine sconvolsero la Cina durante il XVII secolo. Furono saccheggiati depositi alimentari e trucidati molti ricchi proprietari terrieri. Le rivolte avevano l’obiettivo di redistribuire le terre con criteri più giusti. La Dinastia Ming ne uscì fortemente provata fino al punto di tracollare sotto l’offensiva delle truppe nomadi provenienti dalla Manciuria. Salì così al potere una nuova dinastia chiamata Qing o Manciù, per la sua provenienza. I Qing saranno l’ultima dinastia imperiale a governare sulla Cina, fino al 1912 quando nacque la Repubblica cinese.

Pechino fu conquistata nel 1644 e i Ming furono scacciati. La residenza imperiale rimase sempre nella Città Proibita, mentre l’estensione dell’Impero Celeste raggiunse il suo massimo proprio con i Qing nel 1790 (15 milioni di kmq, il quinto impero più vasto della storia). Sotto questo impero furono unificati molti popoli e regioni, ma i Qing divisero sempre questa massa di persone in Manciù, Cinesi e Mongoli. Le diverse etnie non potevano contrarre matrimonio tra loro e, in alcune città, come Pechino, erano addirittura divise da mura in specifici quartieri.

 

6.1.5 Una dinastia che punta sulle risorse interne

Dal punto di vista economico, come sotto la Dinastia Ming, venne proseguito l’intento di sfruttare le risorse naturali interne e i vasti terreni agricoli, senza quindi scendere in competizione con l’Europa. Le importazioni dall’estero erano quasi completamente precluse, ma l’impatto commerciale era comunque molto forte, grazie a mercanti e artigiani che si muovevano per lavoro attraverso l’esteso impero. In agricoltura aumentarono le esportazioni di tè, cotone e porcellana, mentre per ridurre il malcontento nelle campagne i Qing iniziarono l’abbattimento del sistema di servitù dei contadini.

A livello culturale si diffuse ulteriormente la stampa, le pubblicazioni aumentarono come mai prima di allora e anche le classi sociali più basse iniziarono a leggere libri. L’imperatore Kangxi (1661-1722) fece compilare il più grande dizionario della lingua cinese, che prese il suo nome. Suo nipote, l’imperatore Qianlong creò mecenatismo, benessere e prosperità, oltre a una corte fastosa che aveva molti punti in comune con quella francese di Luigi XIV.

 

 

6.1.6 Il declino dei Qing: la Guerra dell’oppio e la Rivolta del Taiping

Il potente Impero Qing iniziò a entrare in crisi dalla seconda metà del Settecento. Uno dei principali segnali del suo disfacimento è da rintracciare nell’utilizzo smodato di oppio – seppur vietato – da milioni di sudditi, tanto da creare negli anni una vera piaga sociale. I maggiori quantitativi della potente droga provenivano dalla colonia inglese del Bengala, dove la produzione era in mano alla Compagnia delle indie Orientali. Quando nel 1839 il governo Qing fece bruciare un enorme quantitativo di oppio proibendo ogni commercio con la Gran Bretagna, ne scaturì una guerra che gli inglesi, per la superiorità militare e navale, vinsero in poco tempo. La Cina fu costretta ad aprire porti al commercio internazionale e a cedere l’isola di Hong Kong all’Impero Britannico.

In seguito alle ingerenze occidentali la Dinastia Qing appariva fortemente indebolita, ma un evento ancora più vasto e con conseguenze molto pesanti giunse nello stesso periodo, quando violente ribellioni contadine contro il governo. I ribelli Taiping presero il nome dal Regno Celeste della Grande Pace (Taiping tianguo in cinese) poiché pensavano di cacciare i Qing, che erano manciù, e gli stranieri europei per riportare la Cina al suo antico splendore. La lunga e devastante guerra civile che ne seguì (1850 – 1864), prima che la rivolta venisse completamente soppressa dalle forze imperiali con il decisivo aiuto degli Inglesi, causò la distruzione di raccolti e intere città e costò la vita a quasi 20 milioni di persone.

 

 

 

6.2 IL GIAPPONE DEL PERIODO EDO

6.2.1 Un paese ancora feudale

Il periodo Edo comprende gli anni 1603-1868. Gli shogun Tokugawa, dopo aver sconfitto i clan rivali, acquisirono il potere assoluto. Il Giappone rimase, perciò, ancora saldamente un paese feudale in mano a samurai e shogun come nel periodo medievale, mentre l’imperatore con la sua corte risiedeva senza poteri a Kyoto.

Lo shogun spostò il centro politico e amministrativo a Edo (antico nome dell’odierna Tokyo), a quei tempi ancora un piccolo villaggio di pescatori. Gli shogun Tokugawa cercarono di mantenere a tutti i costi la stabilità politica e per questo costringevano i daimyo, i signori feudali, a risiedere a Edo. Qui i daimyo trasferivano anche le proprie corti e, non essendoci guerre interne, nel giro di un secolo Edo arrivò quasi a un milione di abitanti.

 

6.2.2 La struttura sociale

La società era divisa in rigide classi ed i matrimoni misti erano vietati dalla legge. La piramide sociale era strutturata nel seguente modo:

Imperatore

Corte (nobili)

Shogun

Daimyo

Samurai

Contadini

Artigiani

Mercanti

Al di sotto di tutti vi erano, infine, le cosiddette «persone impure», ovvero chi svolgeva lavori a contatto con i cadaveri o le carogne (macellai, conciatori e becchini) e i «non uomini» (erano così considerati i ladri, i mendicanti e le prostitute). Per queste persone venivano costruiti specifici quartieri, isolati dal resto della città e spesso non riportati nemmeno sulle mappe.

Le leggi stabilivano per ogni classe sociale precise norme che regolavano vari aspetti della vita pubblica e privata, dal comportamento all’abbigliamento, dai beni consentiti fino alle attività di svago e alle opportunità di poter avere un’istruzione.

 

6.2.3 I samurai

In questi secoli i samurai continuarono a seguire il bunbu, ideale in cui cultura (bun) e arti marziali (bu) sono doveri uguali. Questi guerrieri avevano, secondo la dottrina confuciana, il compito affidato dal Cielo di garantire un governo benevolo attraverso l’esempio personale. La loro responsabilità era politica, ma anche morale. Questo si univa al rispetto delle relazioni confuciane (gerarchia signore > suddito e padre > figlio) allo scopo di garantire l’armonia sociale e la stabilità politica. Il confucianesimo importato dalla Cina professava gli ideali di pietà e amore verso i genitori, di lealtà e obbedienza verso i superiori e di subordinazione dei propri bisogni a quelli della comunità di appartenenza. Il samurai era, quindi, un individuo al servizio degli altri, il più possibile staccato da bisogni materiali o di denaro. Ad esempio, il samurai che non era in grado di saper distinguere le monete l’una dall’altra era considerato un modello di grande virtù, proprio perché dimostrava con la sua ignoranza il distacco dal valore materiale degli oggetti.

 

6.2.4 Lo sviluppo di una nuova società

Nonostante l’impostazione feudale e la rigida divisione in classi sociali, la società governata dal regime degli shogun Tokugawa, organizzata principalmente attorno all’attività agricola, si sviluppò anche a livello mercantile. Questo accade principalmente soltanto all’interno dell’impero. Gli unici stranieri ammessi e con i quali si intrattenevano scambi commerciali erano i cinesi e gli olandesi, costretti a vivere unicamente nella città portuale di Nagasaki.

 

6.2.5 La vita nelle città

Questa chiusura all’esterno venne ufficializzata nel 1641 con l’introduzione del sakoku. Fu una legge basata su un estremo protezionismo che non permetteva ai giapponesi di avere contatto con esterni, sul modello cinese. Una chiusura di carattere culturale che causò anche la morte di molti missionari cattolici che arrivarono in Giappone per diffondere la fede cristiana.

L’impossibilità di avere rapporti con l’esterno, però, permise al Periodo Edo di essere un tempo di pace e relativa ricchezza, in cui si svilupparono le città - specialmente Tokyo –, l’arte e la cultura, nacquero e si diffusero il sumo, una forma di lotta corpo a corpo tra due sfidanti, il sushi (per come è inteso oggi) e il teatro kabuki, una forma di teatro con caratteristiche molto diverse da quelle occidentali, con una trama molto incerta e l’assenza quasi totale di testo verbale.

A Kyoto vivevano circa trecentomila persone, mentre Edo si trasformò in una metropoli estesa, vivace e popolosa dove la metà delle persone viveva nella «città bassa», zona dei rioni commerciali. Edo fu centro politico e amministrativo del Giappone di questo periodo, ma anche nucleo economico e culturale, con reti di strade e canali navigabili per il transito di grandi quantità di merci, persone e informazioni.

 

6.3.6 Il “mondo fluttuante”

Questa fervida esistenza all’interno delle città, favorita dal forte impulso dei commerci e della borghesia che con essi si stava arricchendo, rappresentava il cosiddetto “mondo fluttuante”. Con queste parole si indica il “nuovo” mondo che si stava creando grazie ad un periodo di pace e alla cultura mercantile, e che si poteva vivere soprattutto di sera e di notte nei quartieri centrali di Osaka, Kyoto e Edo. Molte di queste scene quotidiane sono testimoniate dalle numerose, tipiche stampe artistiche dell’epoca, prodotte con matrici di legno e con colori nitidi e uniformi. Proprio perché stampate in gran numero, queste opere non avevano costi elevati e per questo si diffusero ampiamente nelle case di molti giapponesi.

 

6.3.7 Istruzione e cultura

Nacquero numerose scuole private, spesso annesse ai templi locali, che impartivano l’educazione ai figli dei contadini, a mercanti e artigiani. La crescita del tasso di alfabetizzazione (che verso la fine del Periodo Edo pare interessasse quasi la metà della popolazione maschile) è testimoniata dall’ampia circolazione di libri di botanica nelle zone rurali e di racconti, favole, cronache di viaggio e vicende amorose destinate a un pubblico di lettori cittadini sempre più ampio.

In conclusione in questi secoli risiede quel fermento intellettuale che interessò la società giapponese a diversi livelli, dalla sfera politica, sociale e filosofica fino al campo scientifico, letterario e artistico. Nonostante il rigido sistema feudale e la morale confuciana dei Tokugawa, il Periodo Edo costituì la base su cui si fonderanno i cambiamenti economici e culturali che il Giappone compirà dopo la ‘riapertura’, con la fine del sakoku, a metà XIX secolo, e con il Periodo Meiji (1868-1912) che porterà alla modernizzazione industriale.


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